Se, per amore di Dio, anche la morte si fa bella (D’Alessio, Francesca)
- preside713
- 20 mar 2012
- Tempo di lettura: 3 min
Chi ha avuto la fortuna di vedere, nella suggestiva cornice di Palazzo Vecchio a Firenze, l’opera di Damien Hirst“For the love of God” sarà certamente stato vittima di emozioni e pensieri contrastanti: io ne sono rimasta incantata, perplessa, entusiasta, affascinata e diffidente allo stesso tempo.
L’artista, uno dei protagonisti assoluti dell’arte inglese e internazionale degli ultimi anni, noto per le sue opere non tradizionali[1], ha stupito il pubblico e il mondo dell’arte esponendo un teschio di platino tempestato di diamanti, realizzato a partire dal calco del teschio di un uomo del XVIII secolo.
La storia comincia nel 2005 quando Hirst acquista in un negozio di Londra un teschio umano integro – con la dentatura in ottimo stato – per farne un calco in platino del peso di 2 kg che ha poi completamente ricoperto di 8601 diamanti purissimi scelti personalmente uno ad uno e acquistati in zone non in conflitto, quindi eticamente puri.
Un totale di 1.106,18 carati (compresa anche “the SKull star diamond”, la stella del teschio, il grande diamante rosa a forma di goccia incastonato sulla fronte che, da solo, pesa 52,40 carati), oltre 100 milioni di dollari il prezzo stimato, 18 mesi il tempo di realizzazione, 17 i collezionisti che hanno comprato l’opera in comproprietà e solo in parte. Hirst ha infatti venduto il 25% dell’opera per rifarsi di una parte dei soldi spesi, tenendo per sé il restante 75%.
Esposta in pochissime istituzioni museali, in Italia è stata ospitata a Firenze in Palazzo Vecchio in una teca al buio: l’opera, in effetti, non necessita di contesto, l’opera illumina, si illumina e ci illumina; l’opera ci strega completamente e ci lascia andare solo quando, completamente sedotti, patiamo un senso quasi barocco dell’esistenza, un horror vacui che raramente ci capita di sentire così profondamente, un ammassarsi di immagini sensazioni riflessioni pensieri che ci indicano la strada o le strade di possibili letture.
Innanzitutto la scelta del soggetto: un teschio, ciò che resta ancora per qualche tempo dopo di noi, l’esempio di ciò che altri sono già e che noi saremo, il destino che ci accomuna inesorabilmente, indipendentemente da chi siamo o siamo stati.
La morte, un soggetto che non ci piace vedere esposto in un museo se non di scienze naturali o etnografico, ma anche un soggetto sempre molto frequentato dalla storia dell’arte: il tema della vanitas ovvero la caducità della vita, l’ammonimento all’effimera condizione dell’esistenza, l’avvertimento a non dare peso alla bellezza e alla materialità per rivolgersi al divino e per riempirsi dell’Amore di Dio che, come dice Hirst “è esaltante e toglie il respiro”.
Ma il teschio di Hirst mentre ammonisce e avverte, brilla come nulla ha mai brillato, è esso stesso esempio divanitas e ricchezza, di fascino ingannatore, è fatto per Amore di Dio ma evoca la bramosia del demonio con i suoi travestimenti truffaldini e i suoi richiami effimeri.
Il teschio di Hirst annuncia la vittoria della Morte e non la Vittoria sulla morte.
Inoltre il costo dell’opera: una spesa inconcepibile per la realizzazione di un’opera che non può essere esposta se non con delle esemplari misure di sicurezza (è normalmente conservata in una cassaforte chiusa); un’opera che per sua natura, probabilmente, non potrà mai essere comprata da un solo collezionista o da un museo. Hirst contraddice, dunque, l’idea di possesso personale dell’opera, il che potrebbe essere una critica all’eccessiva privatizzazione dell’arte tipica dei nostri tempi, ma lo fa strizzando l’occhio al mercato dell’arte provocandolo con una sfida milionaria.
Infine Hirst continua ciò che Marcel Duchamp aveva cominciato nel 1917 con la sua Fontana (Orinatoio) inserendosi in un discorso sull’arte ancora aperto: ogni oggetto estrapolato dal suo contesto e privato della sua funzione può essere trasformato in un oggetto d’arte, può essere reso eterno, può assumere in sé un nuovo pensiero.
Il teschio diventa arte: della sua vita passata rimane la forma e i denti che Hirst mantiene in originale e che rendono ancora umano ciò che non lo è più.
L’opera entra a pieno diritto nel mondo dell’arte come i teschi aztechi con lapislazzuli incastonati che sono stati la fonte di ispirazione di Hirst, come la saliera di Benvenuto Cellini (assicurata per 60 milioni di dollari), come tutte quelle opere che da secoli comunicano e esprimono quello che anche Hirst, a suo modo, vuole comunicare e esprimere: la continua riflessione sulla vita, sulla morte, su Dio, per comprendere meglio la vita, per sfuggire la morte e per Amore di Dio.
Francesca D’Alessio
Foto

Damien Hirsch, For the love of God

Damien Hirst, For Heavens sake

Damien Hirst, For the love of God
[1] uno squalo conservato in formaldeide, solo per citare la più chiacchierata.
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