“Leggendo D’Annunzio nella chiesa di San Francesco di Paola” (Marenzi, Sabrina)
- preside713
- 9 mag 2012
- Tempo di lettura: 2 min
Durante le lezioni di storia dell’arte, negli ultimi anni, ho avvertito l’esigenza di avvicinare scritti, poesie e diari dei grandi autori del passato, al monumento analizzato, sorprendendomi di quale alchimia sia possibile saltando da una forma artistica all’altra. Attraverso lo stile ampolloso e tracimante di Gabriele D’Annunzio, mi sono dedicata al meraviglioso altare della chiesa di San Francesco di Paola, chiesa situata sulla stradina che si protende fino a San Pietro in Vincoli.
Così scriveva D’Annunzio: “ O grandi chiese di Roma, tutte piene di placida luce aranciata o violetta, così barocche e così belle, gran fortuna è che gli uomini non ascoltino i miei consigli lirici e che i ferventi siano pochi, altrimenti voi perdereste il vostro incanto maggiore, il quale è, in verità, la solitudine. Nelle ore della siesta tutte le chiese sono deserte e silenziose come le caverne mistiche nel grembo delle montagne, abitate da cervi e dagli eremiti. I pavimenti di marmo hanno un luccicare cupo, come di acqua stagnante. Nelle cappelle l’ombra è profonda e misteriosa, rotta qua e là da luccicori indistinti…”
Lasciandomi condurre da questi rimandi di immagini di caverne scavate da un’ombra che rinfresca il corpo e il cuore, quando il sole fa bruciare il cielo della città, quale rifugio più bello di una chiesa seicentesca? San Francesco di Paola appare nel suo splendore proprio oltrepassando quel portale sempre chiuso, aperto esclusivamente nei giorni festivi, e ammirando lo spettacolo della parete dietro l’altare maggiore: un “putiferio”barocco realizzato da Giovanni Antonio de Rossi nel 1655, qualcosa che stordisce, uno stormo spericolato di angeli acrobati che si muovono intorno a un vero sipario da teatro. Lo stucco delle tende si avvolge come una stoffa fluida sotto le mani dolci e paffute dei cherubini, il vento li muove, ne gonfia gli abiti. Oltre il sipario, un tabernacolo dorato e al di sopra la figura imponente di un Dio artefice, regista, immerso tra nuvole e raggi soprannaturali. Un altare dal quale soffia un’aria fresca che mi riporta a sentire quelle parole dannunziane, quelle mistiche caverne silenziose, dove i suoni sono interni al marmo, al volteggiare di angeli, alle linee serpentine degli affreschi barocchi di Giuseppe Chiari.
Questo l’intento seicentesco dell’arte – sorprendere, stupire – come la parola dannunziana – piena, ricca di rimandi, di colori, di chiaroscuri, di profumi. E seguire il flusso d’immagini, forme e parole credo sia un modo più vivo e completo per avvicinarsi all’opera d’arte.
Sabrina Marenzi

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