Lux in arcana. L’Archivio Segreto Vaticano si rivela (Micheli, Giuseppina)
- preside713
- 9 mag 2012
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Cesare Pavese affermava: «Quando un popolo non ha più un senso vitale del suo passato, si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori – anche noi – quando si ha un passato. La giovinezza del popolo è una ricca vecchiaia»[1].
Di solito l’uomo è attratto da tutto ciò che è segreto e nascosto ma un archivio è un solo un archivio. Le nostre conoscenze moderne provengono proprio da quegli uomini che hanno saputo spingere il loro desiderio oltre i limiti della comune conoscenza e luogo privilegiato di scoperte sono da sempre appunto gli archivi. Il nostro Paese ne possiede tanti, ed ora quello più famoso e accessibile solo agli studiosi, si mostra. Si tratta di 100 originali e preziosissimi documenti che coprono un arco temporale che va dall’VIII secolo d.C. fino al XX secolo fra i quali il ilDictatus Papae di Gregorio VII, la bolla di deposizione di Federico II, la lettera dei membri del Parlamento inglese a Clemente VII sulla causa matrimoniale di Enrico VIII, gli atti del processo a Galileo Galilei, la lettera su seta dell’imperatrice Elena di Cina, la lettera su corteccia di betulla scritta dagli indiani d’America a Leone XIII, alcuni scelti documenti del “periodo chiuso” relativi alla Seconda Guerra mondiale. L’esposizione, ideata in occasione del IV Centenario dalla fondazione dell’Archivio Segreto Vaticano – in collaborazione con Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali e Zètema Progetto Cultura – vuole spiegare e raccontare che cos’è e come funziona l’Archivio dei Papi e, nel contempo, rendere visibile l’invisibile e far sì che anche il normale visitatore possa accedere, per una volta, alle meraviglie finora custodite nei circa 85 km. lineari dell’Archivio Segreto Vaticano. Un titolo, Lux in arcana, che comunica anche il principale obiettivo della mostra: la luce che filtra nei recessi dell’Archivio (lux in arcana) illumina una realtà preclusa ad una conoscenza superficiale, ma fruibile solo attraverso il contatto diretto e concreto con le fonti dell’archivio, che apre le porte alla scoperta della storia, a volte inedita, raccontata nei documenti.
Tra gli altri documenti nella mostra Lux in Arcana è presente il sommario del processo a Giordano Bruno – l’eretico impenitente, pertinace ed ostinato – in quanto gli atti del processo a suo carico sono oggi perduti.
Con il filosofo di Nola, un contrasto violento entra nella cultura della Controriforma, non solo perché isolò pochi intellettuali dalla folla di analfabeti ma anche per le «differenze fortissime che, all’interno stesso dei gruppi intellettuali, separavano uomini aperti alla critica, alle idee nuove, alla curiosità intellettuale, da uomini chiusi ad ogni novità, riluttanti al progresso, scioccamente incuriosi, boriosamente superbi di un sapere tutto accademico»[2]. La letteratura del tempo riprende – dalla commedia del Cinquecento – la figura del “pedante” per darle un volto polemico che prima non aveva. Nel teatro del Rinascimento il pedante non era che la caricatura del dotto umanista che trascorre la sua vita immerso nello studio e parlante correttamente il latino. Il pedante dell’ultimo Cinquecento e del Seicento è altro: è il negatore della scienza, il sostenitore del principio di autorità; è l’avversario di Copernico che può avere il nome di Prudenzio per Giordano Bruno o di Simplicio per Galileo Galilei.
Dibattiti molto accesi si ebbero sui problemi dello Stato, della morale, dei rapporti fra gli uomini e inevitabilmente si scontrarono con gli interessi dello Stato e della Chiesa, generando drammi di coscienza che segnarono le vite di Tommaso Campanella, Giordano Bruno, Paolo Sarpi. Questi lasciarono però opere memorabili anche se appartenenti alla letteratura di opposizione: la Città del Sole del Campanella con il suo utopistico sogno di eguaglianza; i dialoghi italiani di Giordano Bruno, celebrazione della nuova visione eliocentrica dell’universo; laIstoria del Concilio tridentino del Sarpi. Insieme a certi scritti di Galileo Galilei, esse sono le opere più alte dell’età della Controriforma, della quale, però, esprimono non la visione ufficiale della vita, ma le correnti più sotterranee di pensiero e di sentimento.
Giordano Bruno, nato a Nola nel 1548, entrò ancora giovane nell’ordine domenicano, ma fu presto sospettato di eresia e fu costretto a fuggire. A Ginevra, dove si era rifugiato, entrò in contrasto con i circoli calvinisti, intolleranti quanto quelli cattolici. Vagò per Londra, Parigi, varie città della Germania, dove pubblicò i suoi libri. Rientrato in Italia, prese alloggio a Venezia, presso il nobile Giovanni Mocenigo, che voleva imparare dal Bruno la magia, convinto che il frate fosse un mago. Le sue aspettative furono deluse e quindi lo denunciò al Sant’Uffizio. Giordano Bruno fu sottoposto ad un lungo processo prima a Venezia e poi a Roma. Per cosa venne condannato? Prima ancora di Galileo Galilei, egli capì il valore rivoluzionario della dottrina copernicana e le deduzioni che se ne potevano trarre per la vita intellettuale e morale dell’uomo. Il mondo non era più ordinato gerarchicamente: i mondi sono infiniti e nell’unico spazio che li accoglie non esiste un centro perché ogni punto è centro del mondo. L’antropocentrismo, il geocentrismo non avevano ancora subìto una critica tanto serrata e demolitrice. Il centro del mondo non è la Terra, non è l’uomo: nel mondo tutto è centro e tutto è periferia. Una scala di valori che attribuisca maggior prestigio o dignità a ciò che è collocato nel punto centrale è impensabile, perché l’unica realtà cosmica non ammette le distinzioni che l’uomo ha immaginato solo per dar corpo alla propria presunzione, figlia dell’ignoranza. Il sistema copernicano viene allora visto come la fine di un secolare pregiudizio e l’inizio di un processo di liberazione dell’uomo dall’ottusità. Tutto questo prescinde dalle prove e dalle esperienze; è una scelta morale sostenuta con eroico furore; l’uomo acquista sicurezza eroica e prende coscienza di quel Dio che già è dentro di lui. Ma non si fermò qui. Nella commedia Il Candelaio beffeggia e deride Marfurio, maestro di grammatica, tutto impettito nel suo latino assurdo ed incomprensibile, che trasforma la realtà in qualcosa di stantio; stessa sorte per il “candelaio” Bonifacio (l’appellativo si riferisce ad abitudini omosessuali) che trascura la sua bella moglie Carubina e crede di desiderare la cortigiana Vittoria solo per allontanare, anche dalla sua coscienza, il sospetto di essere diverso. L’indole ardente e vulcanica, una vena plebea, un’opposizione istintiva e ragionata alla letteratura aristocratica, tutto questo spiega l’opera di Giordano Bruno, lontana dagli schemi imposti dalla “buona” prosa rinascimentale.
Il processo contro Giordano Bruno iniziò il 22 maggio del 1592 e terminò il 20 gennaio 1600 quando papa Clemente VIII ordinò che l’imputato, “eretico impenitente, pertinace , ostinato”, fosse consegnato al braccio secolare. Ciò significava la morte per rogo. L’8 febbraio gli fu letta la sentenza di morte e fu proprio allora che il Bruno, rivolto ai giudici, pronunciò la famosa frase «Forse avete più paura voi che emanate questa sentenza che io che la ricevo»[3]. Il successivo giovedì 17 febbraio 1600 – Anno Santo – venne condotto a Campo de’ Fiori con la “lingua in giova” cioè con una mordacchia che gli impediva di parlare e qui, spogliato nudo e legato a un palo venne bruciato vivo ostentatamente distogliendo lo sguardo da un crocifisso, del quale stava condividendo la sorte ma che gli volevano far apparire come carnefice.
Ettore Ferrari terminò nel 1887 il modello del Giordano Bruno che, fuso in bronzo, sarebbe stato eretto due anni dopo in Campo de’ Fiori, ma dopo quasi tre secoli dalla sua morte la figura del monaco risultava ancora scomoda. L’opera scultorea fu oggetto di aspre polemiche e attacchi da parte di chi riteneva inopportuno erigere un monumento a colui che era stato condannato per eresia. In un’Italia liberale e laica, il consiglio comunale di Roma era quasi del tutto in mano a correnti clericali e l’erezione del monumento fu possibile solo dopo che, nel gennaio 1888, il capo del Governo Crispi depose d’autorità Leopoldo Torlonia dalla carica di sindaco. Promotore dell’erezione del monumento fu il “Comitato del Libero Pensiero”, sorto a Roma nel 1876, che si rivolse sin dal 1884 allo scultore, che si impegnò a prestare la propria opera gratuitamente. Il primo progetto fu rifiutato dal Consiglio Comunale, in quanto Giordano Bruno era rappresentato con il braccio alzato in atto di persuadere la folla. Ferrari allora concepì una severa figura di Bruno filosofo, che venne inaugurata il 9 giugno 1889, quella stessa possente figura che ancora oggi troneggia in mezzo alla piazza romana e al centro di una sala della GNAM di Roma.
Pina Micheli
Lux in arcana. L’Archivio Vaticano si rivela, Palazzo dei Conservatori, Palazzo Clementino-Caffarelli, 29/02/2012-09/09/2012
Bibliografia
Giulio Ferroni (1995), Storia della Letteratura italiana, Einaudi, Torino
Giovanni Gentile (a cura di) (1985), Dialoghi Italiani, Firenze, Sansoni
Cesare Pavese (2000), Il mestiere di vivere. Diario 1925-1950, Einaudi, Torino
Giuseppe Petronio (1982), L’attività letteraria in Italia, Palumbo, Palermo
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Giordano Bruno

Atti del processo a Giordano Bruno
[1] C. Pavese, 2000
[2] G. Petronio, 1982
[3] G. Gentile, 1985
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