Non è tutto oro quello che luccica… (Calisti, Flavia)
- preside713
- 27 giu 2012
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Vetri romani al Foro Romano. Non è tutto oro quello che luccica….
Già, a volte è vetro.
Così nel Satyricon racconta il buon Trimalcione:
Personalmente – lasciatemelo dire – preferisco il cristallo: niente odori e, se solo non si rompesse, mi piacerebbe ancora più dell’oro. Così invece non vale niente. Eppure un tempo ci fu un artigiano che costruì una bottiglia di vetro infrangibile. Presentatosi al cospetto di Cesare, gliela regalò. Ma poi, dopo essersela fatta restituire, la sbatté a terra. Cesare rimase senza fiato. Che più non si poteva. Ma il tipo raccattò da terra la bottiglia, che si era giusto un po’ ammaccata come un vaso di bronzo. Poi tirò fuori dalla tasca un martelletto e cominciò tranquillo a rimetterla in sesto. Ormai credeva di tenere Giove per le palle, specie dopo che Cesare gli chiese: “C’è qualcun altro al corrente di questa tecnica di lavorazione del vetro?”. Occhio adesso: non appena quello ebbe risposto di no, Cesare ordinò che gli tagliassero la testa: se infatti quel segreto si fosse saputo in giro, per noi l’oro sarebbe al livello dello sterco”[1].
La cosa che credo colpisca maggiormente coloro che imparano a conoscere la vita nella Roma Antica è la sua straordinaria modernità. Facendo correre lo sguardo tra le teche della mostra dedicata ai Vetri Romani, allestita fino al 16 settembre nella Curia Giulia, si ha l’impressione di guardare una vetrina di un negozio “La Murrina”. I decori, i colori, le forme, tutto è eccezionalmente attuale. Si scopre così un aspetto del mondo antico al quale spesso non si pensa: l’uso su larga scala del vetro. Data la sua fragilità infatti il vetro è spesso assente dalle bacheche dei musei archeologici, sebbene in realtà se ne siano conservate centinaia di migliaia di frammenti.
In questa interessante mostra si possono ammirare circa trecento reperti vitrei. Si scopre così che il vetro era utilizzato in ogni campo della vita quotidiana. Come testimoniano gli affreschi di Pompei in vetro erano spesso i servizi da mensa (una bella fruttiera fa capolino da una pittura murale dalla casa di Iulia Felix). Brocche e bicchieri esposti sembrerebbero tolti ad un’osteria di inizio secolo scorso piuttosto che da ricche domus dei Campi Flegrei. In vetro erano i barattoli per le conserve, che Columella consiglia di utilizzare per la loro capacità di non alterare i sapori (i Bormioli dell’epoca erano chiusi con tappi di pelle). Ottime per la conservazione del vino (soprattutto per l’ottimo Falerno, precisa Marziale) erano le bottiglie in tale materiale: mantenevano intatto il gusto dell’amato nettare (a differenza delle anfore fittili, rivestite di pece), di cui si poteva facilmente valutare la qualità e controllare il livello. In vetro erano le serre (come quelle usate per i cetrioli tanto amati da Tiberio). In pasta vitrea – imitante magistralmente il marmo – spesso le lastre di opus sectile, come quelle della domus di Lucio Vero sulla Cassia, o le tessere dei mosaici (che ancor più di quelle litiche potevano giocare con le rifrazioni della luce). In vetro erano gemme e vaghi di una raffinata bigiotteria, l’uso di ritratti eseguiti in foglia d’oro, racchiusa tra due lastrine di vetro, mostra le capacità degli artigiani del tardo Impero. In vetro infine erano realizzati anche oggetti insospettabili come le urne funerarie.
Molto del materiale proviene ovviamente da Pompei, sito privilegiato per apprendere e comprendere la vita dei Romani antichi, molti reperti arricchivano corredi funerari del sud della Penisola.
Ma da dove arriva l’arte vetraria? I primi manufatti si ritrovano nella Mesopotamia della metà del II millennio a.C. e si diffondono ampiamente in tutto il bacino del Mediterraneo, trovando grande successo poi presso tutte le corti ellenistiche nel IV secolo a.C. Qui i Romani “scoprono” il vetro, e iniziano a produrlo, prima come bene di gran lusso (Plinio ricorda due coppe acquistate per ben 6.000 sesterzi!), poi, con l’innovazione della soffiatura, nel I secolo a.C., come bene diffuso, quasi “di massa”. All’inizio del I secolo d.C. arriva la soffiatura in matrice, si ottiene così un ulteriore abbattimento dei prezzi, dovuto alla riduzione del tempo di produzione e soprattutto al minor spessore che si riesce a imporre ai manufatti realizzati[2], con forme sempre più nuove e fantasiose (la mostra ospita tra gli altri una coppa potoria a forma di lumaca e delicati balsamari a forma di coccodrillo). La fantasia dei maestri vetrai si abbandona a mille variazioni di colore (realizzate attraverso la somministrazione di ossidi, che permettono così di imitare materiali preziosi come il cristallo di rocca[3], l’alabastro, l’onice) e forme. Le tecniche realizzative si perfezionano fino a dare vita a sorprendenti funambolismi. La straordinaria bellezza dei manufatti prodotti, unita alla sua estrema fragilità, farà escalamare a Plinio:
“Questa fu stimata la prova della ricchezza, questo l’autentico trionfo del lusso: possedere ciò che può andare completamente distrutto in un solo istante!” [4]
Per fortuna il tempo ha risparmiato un po’ di tale luccicante mondo. Per chi lo volesse la mostra sarà una buona occasione per passeggiare tra le rovine di quello che un tempo è stato il cuore del mondo e perché no, di fermarsi per una passeggiata (possibile utilizzando lo stesso biglietto) sul Palatino ornato dalle variopinte aiuole di Orti e giardini. Il cuore di Roma Antica (6/05-14/10/2012) o magari per una serata dell’XIa edizione di Letterature. Festival Internazionale di Roma ospitato fino al 21 giugno 2012 nella Basilica di Massenzio. Un’occasione insomma per riscoprire uno dei luoghi più suggestivi e pregni di storia della nostra città. Per camminare là dove un tempo fu cremato il corpo del Divo Cesare, per vedere il luogo in cui cadde colpito a morte l’imperatore Galba, per vedere da dove le truppe di Vitellio diedero l’assalto a Flavio Sabino asserragliato sul Campidoglio, insomma, per respirare la storia[5].
Buon Foro a tutti!

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