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I ritratti di Michelangelo come poeta (Cascio, Gandolfo)

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    preside713
  • 24 set 2012
  • Tempo di lettura: 13 min

I ritratti di Michelangelo come poeta

Michelangelo Buonarroti (1475-1564) scrisse versi durante l’intero arco della sua vita adulta, lasciando un corpusdi poco più di 300 componimenti di vario metro, stile e temi. Nel Cinquecento si era a conoscenza di questo lavoro, anche se solamente pochi testi riuscirono a circolare in forma privata. L’editio princeps sarà pubblicata postuma (1623), con la curatela del nipote omonimo, letterato satellite della corte romana del cardinale Maffeo Barberini. Questa pubblicazione non è integrale e sui componimenti stampati viene applicato un radicale intervento di redazione. Il ruolo poetico di Michelanglo viene tuttavia presto messo da parte e verrà ripreso solo a partire dall’Ottocento, mentre il Novecento confermerà l’importanza della sua produzione lirica all’interno della galassia rinascimentale. Soprattutto a partire dagli anni Sessanta la ricezione delle Rime sarà attenta e relativamente varia, coinvolgendo sia la critica accademica che il mondo letterario. In questo mio contributo vorrei proporre, seppur solo per accenni, come anche nel mondo dell’arte (della pittura in particolare) sia stata tramandata l’immagine di Michelangelo poeta.

Un primo ritratto di Michelangelo ci viene dato da Condivi (1553). Si tratta di una descrizione abbastanza dettagliata, seppur probabilmente pilotata come buona parte del resto della biografia:

È Michelangelo di buona complessione; di corpo piuttosto nervuto e ossuto che carnoso e grasso; sano sopratutto sì per natura, sì per l’esercizio del corpo e continenza sua tanto nel coito, quanto nel cibo; […] Ha sempre avuto buon colore in volto; e la sua statura è tale: è d’altezza di corpo mediocre, largo nelle spalle, nel resto del corpo a proporzione di quelle, piuttosto sottile che no[1].

Tale descrizione sarà in buona parte ripresa da Vasari nella sua Vita (1568) e corrisponde pure alla maschera funeraria di mano di Daniele da Volterra (fig. 1). La Testa davolterriana fu da subito celebrata e divenne la “Veronica” per busti e ritratti, tra cui quello solenne di Battista Lorenzi, posto al centro del monumento di Santa Croce (1570). Ad oggi si contano un centinaio di opere che riportano la fisionomia dell’artista e sono prevalentemente di natura encomiastica e celebrativa[2]; un fenomeno che avrà un’attenzione particolare nel Seicento, in concomitanza con la fondazione di Casa Buonarroti, per poi individuare un nuovo calo d’interesse che viene largamente compensato nell’Ottocento. Durante questo secolo si lavora alla formazione della mitografia del personaggio rinascimentale e a questo scopo serviranno anche i diversi ritratti che oltre a rappresentare l’uomo nella sua verità storica, si pongono l’obiettivo di forgiare un’allegoria dell’artista. Michelangelo cioè riprende il proprio e naturale ruolo di figura-emblema della rinascita, riuscendo a sua volta a ispirare alcuni artisti romantici, divenendo spesso un elemento di eco di se stesso.

Proviamo, allora, ad esaminare meglio e a posizionare con più precisione gli esempi delle effigi di Michelangelo poeta: sia quelle di interpretazione certa, accolte nelle collezioni fiorentine di Casa Buonarroti e della tela di Francesco Vinea in Palazzo Pitti; sia dei casi di incerta interpretazione, cioè dei presunti ritratti di Raffaello in Vaticano per lo studio privato del papa Della Rovere. Nell’affresco intotolato La scuola d’Atene (fig. 2) si sa che vengono rappresentati i grandi filosofi dell’antichità, spesso in sembianze di artisti (ad esempio Platone ha il volto di Leonardo), mentre la critica concorda nell’affermare che Michelangelo sia stato ripreso come Eraclito. Da quello che sappiamo[3], pare che il ritratto di Michelangelo non fosse previsto nel progetto iniziale ma che sia stato aggiunto su richiesta di Giulio II[4]. Se la ricognizione è corretta, anche nell’impianto del significato generale dell’affresco[5] si noterà che Buonarroti è ripreso proprio nell’atto di scrivere. C’è poi da evidenziare che, a differenza degli altri actores sistemati a gruppi o a coppie Eraclito è ripreso da solo: una iconografia che certo vuol sottolineare la condivisione caratteriale favorita da entrambi (Eraclito/Michelangelo) ed espressa nell’atteggiamento dell’homo malinconicus: condizione dello spirito che ha una evidente risultante anche nei rapporti con l’ambiente circostante e che parrebbe contraddistinguere la genialità[6] del soggetto, quella condizione spirituale, ma anche squisitamente letteraria, che porta a identificare Michelangelo con il filosofo «‘oscuro’ per antonomasia»[7]. Ciò che è più inusuale è la scelta di Raffaello di dargli una posizione di tale prominenza (direi quasi un primo piano) che eccede il suo ruolo all’interno della storia della disciplina, ma che, invece, sarebbe certo giustificata qualora davvero si tratti del ritratto di Buonarroti, giacché, propongo, dalla prospettiva del filosofo si arriva a quella del lirico, giacché come afferma il Febbraro: «Il poeta, dunque, unisce in sé i due culti e le due esigenze, quella della fusione mistica con le potenze ctonie e quella della parola interpretabile, che rivela. In contatto col divino, il sapiente e il poeta tentano entrambi di darne un’espressione verbale»[8]. Ricordiamo che Michelangelo negli anni in cui l’affresco è completato (1509-1510) scrive versi da circa dieci anni, e Raffaello pare volerne sottolineare la situazione in fieri della scrittura, assunto che spiega e giustifica la necessità di starsene da solo, ma che al contempo evidenzia il piacere alla malinconia («La mia allegrezz’ è la malinconia»: Rime, 267, v. 25), in sintesi lafigura (per usare un termine di ascendenza auerbachiana) di una voluptas dolendi che si riscontra, sì, nelle poesie ma che costituisce anche un elemento caratteriale che ha contribuito a delineare l’immagine pubblica di Michelangelo.

Più compleso è il riconoscimento di Michelangelo nella parete della Stanza che rappresenta il Parnaso (1510-1511; fig. 3) e perciò non si è ancora trovata una concorde soluzione esegetica. L’identicazione dell’uomo con la barba è incerta. I nomi proposti sono quelli di Tebaldeo, Castiglione e appunto Michelangelo, ipotesi avanzata da Gamba e poi ripresa da Tolnay[9]. In questa sede non è necessario partecipare al dibattito, la mia preoccupazione è piuttosto quella di annotare il dubbio e magari accreditarlo, connettendo questa ipotesi con il Parnaso che si trova in Casa Buonarroti (fig. 4). Il palazzetto di città che si trova nel centro storico di Firenze[10] fu inteso da Michelangelo il Giovane come «commitment to glorifying the name of his famous ancestor, developing strategies for networking, and articulating a pattern of family identity and cohesion»[11]. Alla fine del percorso della Galleria – cui torneremo oltre – ci si ritrova nello Studio. In questa camera allestita per magnificare il vanto dei toscani illustri (con l’esclusione degli artisti) tra cui spicca quello di Galileo, sono riportati sulle quattro pareti in forma enciclopedica, i ritratti di astronomi, matematici, naviganti, medici e, proprio difronte alla porta d’ingresso, la corte dei poeti. La descrizione dell’affresco e la ricognizione dei personaggi è già stata fatta in modo esaustivo da Bigazzi[12], cui rimando. Qui, invece, del suo articolo mi preme riportare alcuni dati utili al nostro discorso. Il balcone rappresenta un Parnaso esemplare che include i letterati che costituiscono il canone letterario in toscano: da Dante a Petrarca, da Bembo a Cavalcanti, da Sacchetti ad Aretino e ordinati secondo il genere letterario (prosa, tragedia, lirica). In questa rigorosa architettura tutto pare ordinato secondo gli schemi regolatori vigenti nel secolo. A me, però, pare importante sottolineare due aspetti che in parte potrebbero, forse non contraddire, ma magari sovvertire la prevedibilità di un impianto che escluderebbe Michelangelo. Primo, che nonostante Michelangelo occupi per intero lo spazio a lui dedicato nella Galleria centrale, sia riproposto anche in questa sala. In secondo luogo, la collocazione: questa sistemazione non va intesa in senso gerarchico, perché infatti le tre Corone si trovano sulla balaustra, in una posizione periferica rispetto al centro ma, anche considerata l’altezza della rappresentazione, ben più visibili e riconoscibili allo spettatore: Dante è a destra, Boccaccio in centro e Petrarca seduto all’estrema sinistra. Michelangelo, dunque, si ritrova «in posizione centrale, anche se non perfettamente sull’asse mediano dell’affresco, ma spostato verso sinistra»[13], anche se, come dimostrano le carte preparatorie, «in un primo momento si progettava di dipingerlo tra i poeti lirici a sinistra». Michelangelo, dunque, nel centro non perché sia il più importante, ma perché:

Si è voluto forse sottolineare così la particolare posizione della poesia michelangiolesca che, pur rientrando, per certi aspetti, nella corrente del Petrarchismo, se ne distacca per un atteggiamento di maggiore libertà nei confronti del Petrarca. Dalla sua poesia, infatti, Michelangelo non accoglie tanto gli elementi musicali, edonistici ed oratori, quanto quelli più riflessivi e intellettualistici, unendoli, per altro, ad elementi concettuali e verbali di ascendenza stilnovistica, dantesca e quattrocentesca, dotta e popolare. È [sic] da notare che Michelangelo, con la testa rivolta a sinistra, cioè dalla parte di Aristotele e Dante, indica con la mano destra la schiera dei «Lirici» raccolta vicino a Petrarca[14].

La descrizione fatta da Bigazzi pone dunque l’accento proprio sulla complessità della poesia buonarrotiana, in medio tra il lirismo di Petrarca e i contenuti danteschi, e tra Aristotele e Platone, come già aveva lucidamente riassunto Varchi: «non dice parola ma cose, tratte non solo del mezzo di Platone, ma d’Aristotile»[15]. Michelangelo il Giovane, il quale ha inteso pienamente la matrice eclettica della poesia del parente – aperta agli stimoli, soprattutto in senso stilistico, di più istanze, ma dove Dante e Petrarca, in modo speculativo, rimangono gli emblemi referenziali – suggerisce il programma dell’affresco consigliato[16] dal letterato e risolve la sua catalogazione proprio suggerendo una posizione quasi centrale, in bilico tra i generi e gli stili, esaltando pienamente e traducendo in modo visuale una «retorica dell’inclusione». E in questa dimensione vanno considerati anche gli altri ritratti che ci interessano, ma posti nella Galleria d’onore. Qui, difatti, si ritrovano i pannelli celebrativi che a noi interessano maggiormente: alla parete “Michelangelo in meditazione poetica”; Michelangelo nel suo studio (P. di Giulio Caccini ?); e sul soffitto Michelangelo incoronato dalle Arti (anche chiamato “Michelangelo incoronato dalle Muse”; fig. 5). Le opere si inscrivono in quella serie celebrativa che vuole rappresentare Michelangelo come homo universalis: ecco allora che nel pannello al soffitto si riscontrano le quatrro corone delle arti, di cui una è quella della poesia, mentre nel pannello Michelangelo nel suo studio la simbologia delle corone è sostituita dagli strumenti del lavoro per rappresentare le arti plastiche e da una corona d’alloro e di mirto per simboleggiare la poesia e più in generale la Fama. Questo processo assimilativo ricorda molto quello pensato per il monumento funebre vasariano in Santa Croce che effettivamente prevedeva la quarta musa, presente ancora nel catafalco (fig. 6), ma poi dismessa durante la realizzazione del monumento. Ma se fino a questo punto gli esempi che ho presentato fanno riferimento alla pratica poetica solo in modo indiretto, o in termini simbolici ancora non chiariti definitivamente dalla critica, le ultime due opere che qui presento sono, invece, con certezza ascrivibili ad intenti precisi di panegirico del poeta. Si tratta del Michelangelo in meditazione poetica (fig. 7) completato da Zenobi Rosi, su un disegno di Cristofano Allori, e terminato nel 1622, proprio in concomitanza con la pubblicazione dell’edizione princeps delle Rime, uscita l’anno dopo sotto gli auspici di Urbano VIII Barberini. L’opera trova spazio sempre in quel sito privilegiato che è la Galleria, in modo da esaltare sia la memoria dello zio, ma insieme a lui anche l’intero clan dei Buonarroti, attivando così una strategia giustificabile nel progetto apologetico ideato e coordinato da Michelangelo il Giovane – egli stesso, ricordiamolo, letterato. Il ritratto è per noi di particolare importanza perché si ricollega all’immagine già canonizzata da Raffaello di un Michelangelo malinconico, appartato e intento a scrivere. L’allegoria della poesia è però qui espressa con chiarezza e in modo anche assertivo, considerando che la tela ha le medesime dimensioni delle altre che invece raffigurano l’antenato come artista.

L’ultimo lavoro che presento è Michelangelo che legge le sue poesie in casa Aldovrandi, di Francesco Vinea e completata nel 1863 (fig. 8). La tela è di dimensioni medie (165×128 cm); fu presentata e vinse un concorso patronato dal monarca del giovane Regno italiano. Il tema è di particolare interesse per questa ricerca perché mette in assoluto rilievo la posizione di Michelangelo come poeta. È illustrato un momento degli anni giovanili di Michelangelo, in particolare del soggiorno a Bologna (1494-1495) – città dove alloggiò forse per fuggire possibili vendette politiche:

Stette Michelagnolo in Bologna poco più d’uno anno e vi sarebbe stato più per satisfare alla cortesia dello Aldovrandi, il quale l’amava e per il disegno e perché piacendoli come toscano la pronunzia del leggere di Michelagnolo, volentieri udiva le cose di Dante, del Petrarca e del Boccaccio et altri poeti toscani[17].

Il testo vasariano effettivamente presenta Michelangelo come l’interprete dei classici, una rappresentazione resa più piacevole dall’accento fiorentino, come il più adeguato alla lettura dei testi volgari. Vinea, invece, prende spunto da quella nota letteraria, e trasforma Michelangelo da semplice attore che recita i versi altrui, in un poeta che legge i propri versi, includendolo così nel novero degli «altri poeti toscani». La scelta di un tema come questo dimostra una certa attenzione da parte del pittore, perché nello stesso anno viene pubblicata l’importante edizione delleRime a cura di Guasti[18]; mentre l’assetto generale è ingegnoso perché pone Buonarroti su un piano d’assoluto protagonismo della scena «descritta secondo quell’attitudine alla moderna rivisitazione storica, attenta ai particolari dell’arredo e ricca di notazioni di costume»[19]. Tuttavia, in tanto dispiego di realismo negli aspetti scenografici e del costume, non corrispondono alcuni fatti che la drammatizzazione ha fortemente esasperato. Michelangelo, nella gestualità oratoria e nella caduta scenografica della luce, ricalca la mimica di un personaggio d’opera, piuttosto che un poeta che si presta a leggere alcuni dei suoi versi agli ospiti che lo accolgono in casa propria. Anche gli astanti paiono più rapiti dalla gestualità che non dalla lettura. Ed effettivamente il giudizio sull’opera fu abbastanza negativo anche da parte dei contemporanei:

mi sembra che il signor Vinea creda di esser già compiuto e quindi si dispensi dalla mia critica; ma io lo riprendo, dicendoli che non basta in arte esser di una cosa convinto ma che bisogna esserne completamente al possesso [c. 395] e pur nonostante lavorare cercando, avrebbe forse allora trovato che al giorno di oggi un Michelangelo non si mette più a fare il cantastorie in una casa di uomini urlando come un disperato e stralunando gli occhi; ma da buon fiorentino lo veggo raccorre, intorno alla tavola dove sta seduto, la lieta brigata e così leggendo bene a senso e con purezza d’idioma i bei poeti farne risaltare le più delicate finezze[20].

Un disegno, forse preparatorio[21], manca del pathos presente nell’opera poi ultimata, e risulta più intimo. Aggiungo poi che la tela presentata al concorso riprende a grandi linee la fisionomia del busto di Daniele da Volterra, presenta un uomo molto più anziano di quanto non fosse Michelangelo in quegli anni. Questa scelta di alterazione storica probabilmente è servita per dare una maggiore serietà al fatto e al momento presentato, ma il risultato può considerarsi una messinscena dai toni troppo teatrali, non solo nei limiti della nostra percezione contemporanea, ma proprio perché effettivamente è lontana dall’immagine di solitario scrittore che ha inventato Raffaello e un tale allontanamento, mi piace pensare, probabilmente avrebbe dispiaciuto Michelangelo.

NOTE BIOGRAFICHE DELL’AUTORE

Gandolfo Cascio è docente e ricercatore presso l’università di Utrecht. Si occupa, in ambito comparativo, di letteratura e arte del Cinquecento e Novecento. Ha pubblicato Variazioni romane. Studi su Penna, Morante, Wilcock e Pecora (2011) e sta completando una monografia su Michelangelo poeta.

Gandolfo Cascio

BIBLIOGRAFIA

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FOTO

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Fig. 1: Daniele da Volterra, Ritratto di Michelangelo (dalla maschera mortuaria), 1564, Milano, Castello Sforzesco

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Fig. 2: Raffaello Sanzio, La scuola d’Atene, 1509, Città del Vaticano, Palazzi Pontifici, Stanza della Segnatura. Nella griglia rossa è il ritratto di Michelangelo

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Fig. 3: Raffaello Sanzio, Il Parnaso, 1509-1510, Città del Vaticano, Palazzi Pontifici, Stanza della Segnatura. Nella griglia rossa il presunto ritratto

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Fig. 4: C. Bravo, I Poeti / D. Pugliani, Grisailles del fregio, 1636, affresco, Firenze, Casa Buonarroti, Biblioteca. Nella griglia rossa è incorniciato il ritratto di Michelangelo

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Fig. 5: S. Coccapani, Michelangelo incoronato dalle Arti (o Michelangelo incoronato dalle Muse), 1615-1617, Firenze, Casa Buonarroti

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Fig. 6: Z. Lastricati, Disegno preparatorio per il catafalco di Michelangelo in San Lorenzo, 1564, Monaco di Baviera, Graphisce Sammlung (Inv. 35343)

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Fig. 7: Z. Rosi (su disegno di C. Allori), Michelangelo in meditazione poetica, 1615-1622, Firenze, Casa Buonarroti

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Fig. 8: F. Vinea, Michelangelo che legge le sue poesie in casa Aldovrandi,1863, Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe

[1] A. Condivi, Vita di Michelagnolo; cito da M. Buonarroti, Le poesie e la vita (narrata dal Condivi), pp. 150-151

[2] Per una bibliografia sulla ritrattistica di Michelangelo rimando a E. Steinmann; P. Garnault; e più recentemente AA.VV., catalogo della mostra Firenze, Casa Buonarroti, 7 maggio-30 luglio 2008

[3] Cfr. H. von Einem, Das Programma der Stanza della Segnatura, Opladen, Westdeutscher, 1971

[4] B. Talvacchia, p. 90

[5] Cfr. C.L. Joost-Gaugier; e D. Rijser

[6] Così dice Aristotele in La ‘melanconia’ dell’uomo di genio, a cura di C. Angelino, E. Salvaneschi, Milano, Il Melangolo, 1995

[7] P. Febbraro, p. 23

[8] Ibidem

[9] C. Gamba; C. de Tolnay, p. 167 e passim

[10] In via Ghibellina 70

[11] J. Cole, p. 734

[12] I. Bigazzi, pp. 164-20

[13] Ivi, p. 177

[14] Ibidem

[15] B. Varchi, p. 626

[16] Il Giovane fece addirittura dei disegni preparatori e suggerì i colori delle vesti dei poeti: cfr. le annotazioni e i bozzetti in Bigazzi, op. cit., p. 170-171

[17] G. Vasari, p. 979

[18] Le Rime di Michelangelo Buonarroti, pittore, scultore e architetto

[19] E. Marconi, «scheda 12» in AA.VV, Il volto di Michelangelo, op. cit., p. 42

[20] D. Martelli, ms. D.XIV.III.48, p. 21 [12.07.2012]

[21] F. Vinea, Michelangelo che legge le sue poesie in casa Aldovrandi, 1863, Firenze, Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe

 
 
 

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