Le Veneri di Tiziano alla Galleria Borghese. (Micheli, Giuseppina)
- preside713
- 24 set 2012
- Tempo di lettura: 7 min
Amor sacro e Amor profano, 1514 – 1515
Venere che benda Amore, 1565 circa
L’Amor sacro e l’Amor profano, brutta definizione data al capolavoro tra il Settecento e l’Ottocento. L’amor sacro era individuato nella donna vestita mentre l’amor profano nella donna nuda. Siamo nella tradizione imposta dalla Chiesa dopo il Concilio di Trento, quando il nudo era visto come peccaminoso e pagano, visto che ricordava la statuaria classica. Tutt’altra intenzione, invece, avevano Tiziano, il suo committente, la cerchia di intellettuali: la verità era nuda perché non aveva bisogno di orpelli, di abiti che ricoprissero il suo corpo così “limpidamente puro” da non averne vergogna. L’interpretazione cambia: l’amore sacro è la Venere nuda mentre quello profano è rappresentato dalla Venere abbigliata. Rappresentano la stessa persona perché sono le Geminae Veneres (Veneri gemelle), come le chiamava Marsilio Ficino. La dea che personifica l’amore celestiale è nuda mentre l’altra rappresenta l’amore terreno. Attenzione però: essendo due Veneri, gemelle, ambedue gli amori erano visti come “buoni” poiché l’amore celestiale rappresentava il furor divino mentre l’amore terreno rappresentava l’amore casto della donna. Castità non significava virginale: l’amore matrimoniale era casto perché consumato solo all’interno del matrimonio. Esso non era ferino, bestiale!

Tutto porta ad ipotizzare che Tiziano abbia realizzato un quadro nuziale: questi potevano essere inseriti nei cassoni della dote femminile (come la Venere di Urbino dello stesso artista), tradizione prettamente toscana, oppure appesi sopra il talamo nuziale o sopra la porta d’ingresso, verso l’interno, della stanza matrimoniale, tradizione questa prettamente veneta. L’opera non viene mai richiesta dalla donna, ma è l’uomo che regala simili capolavori alla futura moglie e madre, ma pur sempre donna.
Ma chi fu il committente di questo capolavoro? Per saperlo, si deve andare indietro negli anni. Nel 1509, il Consiglio dei Dieci di Venezia condannava a morte Bertuccio Bagarotto e Francesco Borromeo, accusati di aver congiurato contro Venezia. Entrambi, padovani, vennero considerati traditori perché, invece di difendere la Serenissima dall’ingerenza imperiale, si sono venduti alle truppe nemiche. Del Consiglio che li condannò, faceva parte anche Niccolò Aurelio, di stirpe romana poiché la sua famiglia proveniva dagli Aureli, membri di una legione romana di stanza ad Aquileia.
Nel 1514, Niccolò Aurelio, lo stesso che mandò a morte i due personaggi anzidetti, chiedeva in sposa Laura Bagarotto, figlia del Bertuccio e moglie del Borromeo. La donna non accettò immediatamente la proposta. Esiste la corrispondenza tra la Bagarotto e l’Aurelio dove si evidenzia il fatto che con la morte del padre, alla giovane Laura vennero confiscati tutti i beni così da rimanere priva di ogni cosa di famiglia.
E’ lo stesso Niccolò a chiedere il quadro per mandare un messaggio a colei che doveva diventare la sua futura consorte: era giunto il momento che lei si risposasse e riconquistasse il ruolo nell’ambito della società aristocratica veneziana. Guarda caso, prima della commissione delle due Veneri, fu restituito l’intero patrimonio alla Bagarotto.
Il tema del quadro fu suggerito, al Tiziano, da Pietro Bembo, grande amico di Niccolò Aurelio. In questo quadro, il Bembo si è quasi divertito ad inserire elementi iconografici diversi.
Le due Veneri sono sedute su una fonte-sarcofago, con un puttino che mescola l’acqua raccolta all’interno. E’ un sarcofago classico, ma che ha al centro uno stemma ed è proprio della famiglia Aureli. Sul bacile, appoggiato sopra la fonte, vi è un altro stemma, all’interno, poco visibile ad occhio nudo, ma è quello della famiglia Bagarotto. Il sarcofago, simbolo di morte, che diventa una fonte, assume una valenza positiva perché l’acqua è un elemento purificatore: il puttino che “mescia” fa in modo che il liquido non ristagni, non diventi putrido. Il sarcofago ha un fregio che rappresenta un rapimento di una donna da parte di un uomo. E’ il ratto di Proserpina, la bellissima figlia di Cerere, da parte di Plutone; Cerere, dea della terra, dell’abbondanza e Proserpina, la rinascita dopo sei mesi passati lontani dalla madre e lontana dalla luce del sole.


La Venere Sacra ha un manto rosso, colore che si riferisce al dolore della dea per la perdita del suo amato. Quando Marte scoprì che Venere amava Adone, un aitante ragazzo che rivaleggiava per bellezza con Apollo, lo cercò e gli tese un tranello fino ad ucciderlo. Venere, saputa la notizia, corse in suo aiuto ma si punse il piede con una spina di rose e il suo sangue cadde per terra; le stesse rose, che prima erano bianche, diventarono rosse. Eros, che seguiva sempre la madre, raccolse quel sangue e lo depose nella tomba di Adone: ogni primo marzo, la dea andava alla tomba dell’amato, scopriva il sarcofago e deponeva delle rose bianche che diventano subito rosse perché Adone, anche se morto, poteva tornare a vivere grazie al suo sangue. Venere propose un patto a Proserpina, moglie del fratello di Giove, che tutto poteva: lei sarebbe ritornata sulla terra se anche Adone ne avesse avuta la possibilità (molte volte le due divinità femminili vengono identificate in un unico soggetto).

E così fu! Adone e Proserpina sono la rinascita; le rose rosse, le pene d’amore (sul bordo del sarcofago infatti vi è appoggiata una rosa rossa). Ora la lettura è facile: il sarcofago è quello di Adone, già aperto dalla stessa Venere che porta infatti il manto rosso fuoco. L’acqua che scorre all’interno ha purificato la morte e si sta’ preparando la rinascita; Proserpina è già arrivata e si è vestita dell’abito più bello e sontuoso per andare a casa sua cioè da sua madre Cerere. Dietro di lei, vi sono due conigli e questi, a primavera, cambiano pelo, si rinnovano.

A destra, invece, è rappresentata una battuta di caccia, la stessa che portò alla morte il bellissimo ragazzo e che ricorda che anche lui, come Proserpina, ritornerà alla “morte”. Venere ha in mano un recipiente da cui esce del fumo che va’ verso l’alto perché è amore celestiale, ma esso non è copioso, è esile, e ciò perché siamo all’inizio della rinascita annuale, a inizio primavera. Questa interpretazione non è nata per caso, ma si trova in un “libercolo” a cura di Francesco Colonna, stampato a Venezia all’inizio del Cinquecento: ben presto divenne un manuale ove attingere le fonti per le decorazioni che riguardavano i miti antichi.
Fin qui la mitologia, ma qual è il messaggio nascosto? Questo quadro doveva invogliare Laura Bagarotto ad accettare la proposta di Niccolò Aurelio; il figlio di Venere che mescola l’acqua dentro il sarcofago doveva suggerire alla donna che la sua vedovanza, cioè la sua “morte femminea”, doveva terminare per rinascere come nuova sposa, riabilitata nel suo rango sociale. La Venere nuda simboleggia la verità e rafforza il messaggio di Amore: un tragico evento come la morte dei suoi cari si deve trasformare in una nuova vita. La Venere profana porta gli attributi della sposa: la vesta bianca e vermiglia, i guanti, la cintura con la fibbia, i guanti. Il bacile ove è lo stemma di famiglia è la patera ossia il piatto che si usava nelle processioni pagane per le offerte ai defunti, oppure il contenitore dove Proserpina nascondeva i riti di sua madre, i riti Eleusini, ma non solo; se riferito all’epoca storica del dipinto, il recipiente è un portagioie o dove le buone mogli tenevano l’occorrente per cucire. Laura-Venere profana ha in testa una ghirlanda di mirto e mortella, simboli propri di Proserpina. E allora se Laura ritornerà al suo stato di signora, di sposa allora i conigli saranno l’augurio di molta prole; la sua casa sarà in una città fiorente come è testimoniato dalla torre dipinta alle sue spalle. Ritornerà ad avere un ruolo pubblico, guardata da tutti così come lei ci guarda.
L’amorino dipinto nel quadro non è Eros ma Anteros, anche lui figlio di Venere ma con un ruolo diverso. Eros o Cupido è l’amore cieco, quello che colpisce a caso con le sue frecce; Anteros è l’amore ragionato, calibrato, cosciente.
Laura non ebbe fortuna neanche con il secondo marito: l’Aurelio sperperò tutti i suoi beni e quelli della moglie al gioco. Ciò spiega perché un quadro così “privato” si trovi alla Galleria Borghese: fu venduto per pagare alcuni debiti di gioco.

Cinquant’anni separano l’Amor sacro e ’Amor profano dall’altra opera di Tiziano che ha sempre come protagonista Venere e che si trova sempre alla Galleria Borghese. Venere che benda Amore è un’opera tarda, dove il colore diventa materia palpabile. Ci sono due cupidi: uno è Eros, l’altro Anteros. Venere, semplicemente meravigliosa (lo ammetto…è il mio preferito!), sta’ allacciando la benda sugli occhi del più piccolo, ma si ferma perché Anteros sembra chiedere a sua madre se è sicura di quello che stà facendo.

Dall’altra parte del quadro vi sono due ancelle, una con l’arco e l’altra con la faretra piena di frecce.

Eros o Cupido rappresenta, come è noto, l’amore cieco, e non usa l’arco così come Ovidio ci racconta nelle sue Metamorfosi, ma solo le frecce, che scaglia con le mani. La tradizione che lo vuole anche con l’arco è tarda rispetto alla vera iconografia classica. Quando si usa l’arco bisogna ragionare, occorre concentrarsi e colpire un bersaglio certo: questo è l’amore ragionato e non è certo di Cupido. Anteros aveva il compito, essendo il più grande, di sorvegliare Eros, visto che il pargolo ne combinava di tutti i colori. L’amore ragionato è l’amore celeste, sacro mentre quello terreno è quello profano: quando Eros colpiva gli amanti, essi pensavano solo alla passione amorosa. Da ciò si evince che anche questo è un quadro coniugale. L’ancella che porta le frecce non sa’ a chi darle; sembra quasi lo stia chiedendo alla madre dei due puttini. Venere e le due ancelle sono le tre grazie: voluttà, amor, pulchritudo. Venere è la pulcritudo ossia la bellezza; Diana, con l’arco, è la Castità e l’altra è la Voluttà, il piacere. La dea della bellezza diventa così la Venere Verticordia ovvero la Venere del matrimonio: nell’unione sacra ci deve essere l’amore carnale, ma con pudicizia, con castità, senza abbandoni voluttuosi. Se Venere finirà di bendare Cupido, a patto che stia facendo questa azione, allora l’amore potrà riservare spiacevoli sorprese; se invece sta sciogliendo il nodo già fatto e decide di dare le armi amorose al figlio più saggio, allora ci potrà essere un buon matrimonio. Anteros non ha le ali da colibrì, variopinte, ma ali mature: in Ovidio si legge che le piccole ali di Cupido lo possono far volare sopra l’erba ed i fiori mentre quelle mature possono portare in alto, verso l’amore “celestiale”.
A quali dei due piccoli cupidi Venere consegnerà le frecce dell’amore imperituro? Al cupido bendato che le lancerà alla cieca come la passione che brucia e poi si spegne oppure la cupido sapiente che, che con aria birichina, nascosto dietro la madre, potrà capire chi e quando far innamorare veramente? Venere, il simbolo dell’amore e della bellezza, che unisce in sé le virtù di moglie e madre, aiutata dalle sue ancelle, il Piacere e la Castità, saprà cogliere il momento migliore per far volare o l’amor sacro o l’amor profano
Giuseppina Micheli
P.S.
L’articolo è una rivisitazione di alcune lezioni di Storia dell’Arte svolte presso l’Upter Roma Nord, sede di Morlupo. Lo dedico alle persone che hanno sopportato lunghe lezioni di iconografia ed iconologia nell’ambito dell’Arte veneta.
BIBLIOGRAFIA
Augusto Gentili (1980), Da Tiziano a Tiziano, Feltrinelli, Milano
Erwin Panofsky (1975), Studi di Iconologia, Einaudi, Torino
Erwin Panofsky (1992), Tiziano, problemi di Iconografia, Marsilio, Venezia
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