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“Il moderno attraverso l’antico” all’Aula Ottagona (Laurenti, Stefania)

  • Immagine del redattore: preside713
    preside713
  • 26 feb 2013
  • Tempo di lettura: 4 min

Nel bellissimo e suggestivo spazio dell’Aula Ottagona, sede un tempo dello storico Planetario (1928), una piccola ma interessante mostra dal titolo “L’antico nel moderno. Sculture italiane degli anni Trenta”.

Trenta opere, appartenenti alle collezioni di scultura del primo Novecento della Galleria Nazionale d’Arte moderna di Roma, sono esposte per la prima volta in un insieme organico per illustrare come negli anni Trenta l’arte etrusca e quella romana fossero il principale punto di riferimento. La sfida degli artisti dell’epoca fu quella di dimostrare di saper infondere alle creazioni moderne lo spirito antico, rivisitandone la cultura, la sapienza, la perizia tecnica e il valore, andando ben oltre gli usi politici e propagandistici che della romanità fece il regima fascista. La scultura italiana negli anni Trenta vive una stagione di grande fermento, sia per la ricerca formale, che in alcuni casi ancora indugia sugli apporti delle varie Secessioni e quindi dello stile Decò, sia per l’idealità che la orienta verso un ritorno alla classicità di tradizione, mediata spesso dalla conoscenza approfondita dei grandi scultori classici francesi – da Auguste Rodin ad Aristide Maillol e ad Émile Antoine Bourdelle, ma sostanzialmente impostata appunto sul recupero dell’antico. L’aspetto monumentale della scultura di questo periodo, sicuramente il più interessante dal punto di vista dell’innovazione, non è il punto focale di questa mostra.

L’esposizione vuole invece osservare, attraverso una selezione di opere e di artisti che è sicuramente parziale[2] hanno scelto questa Aula delle Terme di Diocleziano – forse una palestra o un ambiente di passaggio – sotto la cui straordinaria cupola, vanto dell’architettura romana, si trovano a dialogare quindici statue di atleti, eroi e divinità dell’antichità classica che ornavano le terme romane[4] è poi particolare perché si risolve in due cerchi concentrici, fra i quali c’è lo spazio per il passaggio del visitatore.

Il cerchio esterno è occupato per lo più dalle opere classiche e si apre a destra con un Togato, della fine del III secolo d. C. e si chiude con una statua tipo Doriforo. Fra di loro, opere molto interessanti, come l’Afrodite tipo Cnidia, copia del I sec. d. C. dall’originale del IV sec. a. C. oppure il Torso di Artemide del III sec. d. C. dal bellissimo panneggio, o la notevole Testa di Esculapio. In questo cerchio esterno alle sculture antiche si alternano poche sculture novecentesche: ad esempio le due opere di Marcello Mascherini, che certo creano fra di loro un confronto visivo interessante, ma non lo istituiscono con le statue antiche che le circondano. La stessa cosa si può dire per altre tre opere: la Testa di donna in porfido rosso (1936) di Napoleone Martinuzzi che, se riprende dall’antichità, guarda al mondo egizio piuttosto che a quello romano, che invece la circonda; la Testa di Domenico Giuliotti (1929) di Romano Romanelli e la Testa di donna (1948 circa) di Emilio Greco, che non hanno nessuna affinità con l’Afrodite tipo Cnidia (II sec. d. C.) e l’Hermes tipo Andros (fine I – II sec. d. C.) cui sono affiancate.

Il cerchio interno poggia su una piattaforma bianca, a mezzaluna, su cui sono esposte solo statue novecentesche. Si parte da destra con Il povero di Angelo Biancini, bronzo realizzato poco prima della IV Quadriennale romana del 1943, accostato al Ragazzo al mare (1934 ca.) di Francesco Messina. Ai fanciulli seguono le donne, e fra di esse – interessante per la dichiarata citazione dello Spinario – è la Susanna di Alfredo Biagini, presentata alla III Quadriennale romana del 1939. La tribuna d’onore, invece, spetta ad Affrico e Mensola di Libero Andreotti: i due bronzi – che rappresentano l’infelice amore dei due giovani torrenti[6]. Venere colloquia con la Minerva del Martini – bozzetto per la grande statua all’Università degli Studi “La Sapienza”; Apollo citaredo conDiana cacciatrice nella sua corta veste si mette a confronto con la posa stanca del bambino che riposa di …. ; due versioni di David sempre contrite sempre efebiche sono opera di Mirko Basaldella e di …..

Il Corpo. L’opera Torso di Giovanni Prini ripensa il Torso del Belvedere. Bellissime infine e centrali le due statue di Libero Andreotti che rappresentato l’infelice amore di Affrico e Mensola: lui era un pastore invaghito e corrisposto di Mensola, un’ancella della dea Diana, la quale, una volta scoperto il loro amore, li tramuta in torrenti. Negli anni del Futurismo – caratterizzato da una violenza iconoclastica – occorre tener presente che il movimento non riuscì a scalfire le tradizioni rigidamente accademiche: infatti, proprio in quegli anni si impostava la «restaurazione neorinascimentale» che in Libero Andreotti avrebbe avuto l’esponente più in vista e lungamente imperante.

Il Ritratto. Alcuni esempi tra le opere in mostra sono il Ritratto di Lucosius di Marino Marini, che riconduce alla tradizione italica rifacendosi all’uso della terracotta tipico della scultura etrusca; la Testa di ragazzo in bronzo di Arturo Martini in cui si sentono gli echi della ritrattistica proto romana.

Gli artisti in mostra sono tantissimi. Alcuni molto conosciuti e famosi come Giacomo Manzù, Emilio Greco, Francesco Messina, Arturo Martini e Marino Marini; altri quasi “fantasmi” nella manualistica come Italo Griselli, Aurelio De Felice, Venanzo Crocetti, Dante Morozzi, Bernardo Morescalchi, Attilio Selva, Umberto Baglioni, Enrico Martini e Gaetano Martinez.

Proprio per l’interesse che ha suscitato, la mostra è stata prorogata fino al 30 marzo. Se passate di lì andate a visitarla. Ne rimarrete affascinati perché si tratta di una mostra che espone pezzi molto interessanti, e spesso non così facili da vedere, perché tenuti nei depositi. È lodevole per l’ambientazione scelta, per lo spazio lasciato attorno alle statue, osservabili da ogni angolatura, e per un’illuminazione buona. Nondimeno un tema così vasto è sempre difficile da articolare in una piccola esposizione come questa, ma basta qualcuno che vi accompagni e che conosca la materia per divenire ricca di spunti, di confronti e di affinità visive.

Stefania Laurenti

FOTO

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Libero Andreotti, Affrico e Mensola, 1932-‘33, bronzo e marmo

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Francesco Messina, Ragazzo al mare, 1934, bronzo

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Alfredo Biagini, Donna seduta, 1939, bronzo

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Umberto Baglioni, La bella addormentata, 1933, bronzo

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Guido Galletti, Menenio Agrippa, 1932, bronzo

IMMAGINI DELL’AULA E DELL’ALLESTIMENTO

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