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Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza di Tiziano (Micheli, Giuseppina)

  • Immagine del redattore: preside713
    preside713
  • 1 lug 2013
  • Tempo di lettura: 6 min

A pochi anni di distanza l’uno dall’altro, Tiziano, ormai anziano, si ritrae in due modi diversi. L’intento, forse, è quello di farci comprendere il suo stato d’animo, le sue aspettative per i giorni che verranno.

Nel primo Autoritratto, attualmente a Berlino, il pittore si presenta con la berretta nera, il mantello bordato di pelliccia, ma soprattutto con la catena di conte palatino e cavaliere dello Sperone d’Oro donatagli dall’imperatore Carlo V: Tiziano ne sarà sempre orgogliosissimo. Il volto è fiero, lo sguardo ancora vivido ed acuto. L’ambientazione è scarna; gli abiti sono a pennellate grandi, le mani sono appena accennate. Tiziano si rappresenta con una mano appoggiata sul tavolo, oggetto, questo, di norma utilizzato nei ritratti degli umanisti, dei letterati. Non ha un pennello, nè una tavolozza cioè nessun oggetto che lo identifichi come pittore ed il suo sguardo è rivolto a destra. Iconograficamente discorrendo, chi guarda verso destra si rivolge al futuro mentre lo sguardo verso sinistra è quello rivolto al passato. Tiziano, in questo caso, si rappresenta come colui che è ancora in grado di creare e non solo con i colori, ma con la mente e …ne aveva dato dimostrazione nelle “poesie” inviate a Filippo II (una per tutte, Giove e Antiope, Parigi, Musée du Louvre). L’atto creatore e l’idea creatrice di un’opera non era rappresentata solo dalla mano che la eseguiva (ed infatti nell’autoritratto in questione, le sue mani sono poco più che abbozzate), ma dalla mente che lo concepiva. La sua conoscenza della mitologia era così vasta che poteva ancora essere fruttuosa, poteva avere un futuro. Nell’altro Autoritratto, ora a Madrid, l’angolazione è diversa, ha in mano un pennello, indossa ancora la collana dell’onorificenza, ma appare più vecchio e soprattutto guarda verso sinistra. Venezia era cambiata e con essa anche la committenza e Tiziano lo aveva ben compreso.

In mezzo a questi due autoritratti si inserisce l’opera che Antonello Puppi, anni fa, intitolò Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza. Il termine prudenza, da noi moderni, viene usato quando si affrontano le cose con calma, con ponderatezza; nel passato, quello umanistico, la prudenza era sinonimo di saggezza , di “buon consiglio” e veniva abbinata al tempo trascorso.

Tiziano Vecellio, Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza, circa 1565, Londra, National Gallery. Per capire a cosa ci si riferisce qui quando si parla della Prudenza, e per farsi un’idea dei possibili rapporti tra questa virtù — una delle quattro virtù cardinali — e il tempo, basterà tenere presente una frase delConvito dove Dante non fa che riprendere un luogo comune della scolastica

«Conviensi adunque essere prudente, cioè savio: e a ciò essere si richiede buona memoria delle vedute cose, e buona conoscenza delle presenti, e buona provvedenza delle future»[1].

L’opera presenta in basso 3 teste di animali come il lupo, il leone, il cane; al centro 3 teste maschili quali un vecchio, un uomo adulto, un giovane; sopra di esse, 3 iscrizioni in lettere capitali, che recitano: EX PRAETE/RITO, Sulla base del passato – sopra la testa dell’uomo canuto; PRAESENS PRVDEN/TER AGIT, il presente agisce prudentemente – sopra la testa dell’uomo adulto; NI FVTVR(M)/ACTIONE(M) DE /TVRPET, perché il futuro non rovini l’azione – nella parte del giovane uomo. Le scritte sopra citate non sono leggibili in foto, ma il visitatore della mostra attualmente in corso alle Scuderie del Quirinale a Roma avrà avuto modo di constatare la veridicità di quanto scritto. Il giovane ha il volto rivolto a destra, abbondantemente illuminato dalla luce; l’anziano è ritratto verso sinistra, è in ombra e la pennellata sembra voler “sciogliere” i suoi connotati; l’adulto è perfettamente in asse con lo spettatore e la luce che lo colpisce è pienamente naturale. A partire dal Medioevo la simbologia della Prudenza è stata sempre rappresentata come 3 teste vicine, di tre età diverse, come si possono vedere a Siena o in un rilievo della Scuola del Rossellino. Per capire chi siano questi 3 personaggi ritratti, dobbiamo analizzare anche gli animali che sono posti sotto di loro e cioè il lupo, il leone e il cane. Essi si ritrovano nell’iconografia pagana, ma sono anche collegati ad un’erudizione ben conosciuta negli ambienti “alti” della cultura di molti secoli. Derivano dal mostro tricefalo cinto da un serpente che accompagnava Serapide, divinità dell’Egitto ellenistico, nel santuario di Alessandria. La fonte di questa interpretazione è Plutarco[2]. Nel Medioevo cristiano si impose invece la versione di Macrobio[3], che vede nella triade zoomorfa un’immagine del tempo — passato, presente, futuro e in Serapide una divinità solare – “ergo leonis capite monstratur praesens tempus, quia condicio eius inter praeteritum futurumque actu praesenti valida fervensque est; sed et praeteritum tempus lupi capite signatur, quod memoria rerum transactarum rapitur et aufertur; item canis blandientis effigies futuri temporis designat eventum, de quo nobis spes, licet incerta, blanditur”

«dunque con la testa di leone si mostra il tempo presente, poichè la sua condizione tra il passato e il futuro è forte e fervida all’alto presente; il tempo passato è indicato dalla testa di lupo, poiché la memoria delle cose passate è rapita e cancellata; e l’immagine del cane che blandisce designa l’evento del tempo futuro, di cui la speranza, benché incerta, ci blandisce». Il serpente era già simbolo del tempo, o più esattamente del tempo ciclico, ma anche della Prudenza e i 3 animali diventano la rappresentazione delle parti del trascorrere. Tra Umanesimo e Rinascimento la voga della “letteratura” emblematica si impadronisce della triade, che finirà per perdere ogni riferimento alle sue origini. La letteratura si arricchirà di testi legati a Francesco Petrarca e la sua Africa o ai Hieroglyphica di Piero Valeriano oppure allaHypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna fino ad arrivare agli Eroici Furori di Giordano Bruno. L’arte avrà a disposizione illustratori della simbologia in questione del calibro di Vincenzo Cartari con il suo Imagini degli dei degli antichi oppure l’enciclopedica fonte iconografica Iconologia di Cesare Ripa. Il lupo rappresentava il passato perché divora; il leone rappresentava la forza, quella che bisogna avere nel presente; il cane rappresentava il futuro poiché nei riti misterici quest’animale rappresentava il soggetto che rendeva più facile ciò che sarebbe accaduto ovvero rimanendo accanto all’uomo, avrebbe reso migliori i suoi giorni futuri. Dell’opera di cui sto scrivendo è stata messa in discussione la paternità da parte di Tiziano e catalogata come opera di bottega: mi limiterò a far notare che la lettura iconografica ed iconologica è troppo coincidente con la situazione umana ed artistica di Tiziano, in quel determinato tempo, da dover cercare scoop storico-artistici. Se il dubbio provenisse dal “modo” di dipingere del maestro, così diverso da quello a cui ci aveva abituato, o dalla troppa “erudizione” dello stesso nel concepire un’opera particolarmente caratteristica, mi sento di esprimere la convinzione che sono proprio queste due caratteristiche a rafforzare l’autenticità della mente e della mano di Tiziano, in riferimento anche a quanto scritto sui due precedenti autoritratti. I tre volti presenti nella nostra opera sono Tiziano stesso, volto verso sinistra, in ombra, in compagnia del lupo perché è il passato; l’uomo adulto è suo figlio Orazio, il presente, colui che dovrà prendere l’eredità della bottega del padre, accompagnato dal leone; il giovane è Marco Vecellio, nipote di Tiziano, che sarà il futuro della famiglia di artisti ed infatti è accompagnato dal cane. Siamo in un momento della vita di Tiziano in cui non è possibile sfuggire al pensiero che la fine potrebbe arrivare presto: i suoi amici erano morti, ma soprattutto era morta la sua amata figlia Lavinia. Il primogenito Pomponio era un poco di buono: avviato alla carriera ecclesiastica, alla morte del padre dissiperà tutto il suo patrimonio. Rimanevano suo figlio Orazio e uno dei suoi nipoti, Marco, che avevano manifestato intenti artistici.

Chi furono i committenti di quest’opera? Nessuno. L’opera è il testamento di Tiziano: la forma e le dimensioni la fanno ritenere una “coperta” di altro. Ogni bottega di grandi personalità aveva una cassaforte che era una cella, ricavata in un muro, chiusa da una porta o tavola, alcune volte celata da opere d’arte. Il fatto che questo quadro sia la rappresentazione della famiglia del pittore, anzi del passaggio di consegne dell’attività redditizia, avvalora la tesi che sia un’opera autografa del Tiziano, creata e dipinta per la sua bottega. D’altra parte, nella cassaforte di un pittore erano custoditi non solo gli averi ma anche i “segreti dell’arte”, dall’uso dei colori a quello che si chiama alchimia cioè la trasformazione della materia vile in qualcosa di prezioso: la pittura di Tiziano.

Pina Micheli

Bibliografia:

AA.VV., L’ultimo Tiziano e la sensualità della pittura, catalogo della mostra, Venezia, Gallerie dell’Accademia, 2008

AA.VV., Tiziano, catalogo della mostra, Roma, Scuderie del Quirinale, 2013

Augusto Gentili, Da Tiziano a Tiziano, Feltrinelli, Milano, 1980

Augusto Gentili, Tiziano, 24 Ore Cultura, Milano, 2012

Erwin Panofsky, Studi di Iconologia, Einaudi, Torino 1975

Erwin Panofsky, Tiziano, problemi di Iconografia, Marsilio, Venezia, 1992

FOTO

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Tiziano Vecellio, Autoritratto, circa 1562, Berlino, Staatliche Museen, Gemaldegalerie

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Tiziano Vecellio, Autoritratto, 1565-1566, Madrid, Museo del Prado

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Tiziano, Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza, 1565, Londra, National Gallery

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2 dettagli di Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza

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Siena, particolare del pavimento del Duomo (fine XIV sec.)

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Londra, Victoria and Albert Museum, rilievo di scuola del Rossellino (XV sec.)

L. Begerus, Lucernae….iconiae, 1702

Il Buon Consiglio dall’Iconologia di Cesare Ripa, 1643

[1] Dante, Convito, IV, 27

[2] Plutarco, De Iside et Osiride, 28 e 78

[3] Macrobio, Saturnalia, I, XX

 
 
 

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