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Auguste Rodin e Camille Claudel (Laurenti, Stefania)

  • Immagine del redattore: preside713
    preside713
  • 28 mag 2014
  • Tempo di lettura: 12 min

La mostra su Rodin si è appena conclusa lasciando tutti coloro che non avevamo mai visto dal vivo opere del grande scultore ottocentesco, sbigottiti per la forza e l’incisività di alcune sue opere – La mano di Dio, Busto di Victor Hugo, Maschera dell’uomo dal naso rotto – ma d’altronde Auguste era un creatore fuori delle regole, un lavoratore accanito.

François-Auguste-René Rodin era nato nel 1840 e – dopo una formazione presso pittori famosi e scuole d’arte minori, intorno al 1875 parte per l’Italia dove scopre e studia l’opera di Michelangelo Buonarroti – scoperta determinante per il seguito del suo lavoro. Al suo ritorno nel 1876 opera una rottura nella storia della scultura, aprendo la strada all’arte del XX secolo, con l’introduzione nella sua opera di processi tecnici e di pregiudizi plastici che si trovano al centro della sua estetica. Subito gli viene commissionata la porta bronzea per il Musée des Arts Decoratifs: sceglierà un soggetto dantesco (donde il nome di Porta dell’Inferno) e lavorerà fino alla morte nel tentativo, mai condotto a termine, di realizzare una grande allegoria della dannazione attraverso la rappresentazione del nudo – un romantico e caotico insieme di figure, memori del “Giudizio Universale” di Michelangelo, delle illustrazioni per la “Divina Commedia” di Gustave Doré e dell’opera di William Blake. L’unica descrizione che ne abbiamo, quando era quasi completa, la dobbiamo al critico e romanziere Octave Mirbeau, amico ed ammiratore dello scultore. Il definitivo assetto (quello che noi vediamo negli esemplari di Parigi, Zurigo, Filadelfia e Tokyo) è il frutto di un montaggio realizzato con relativo disinteresse dell’artista negli ultimi anni della sua vita, e le quattro fusioni in bronzo sono postume. Benché sia un’opera incompiuta, la Porta dell’Inferno segna la tappa più significativa della storia creativa di Rodin. Gran parte delle figure da lui modellate[1] tra il 1880 e il 1890 erano infatti pensate per entrare a far parte della porta, e furono da lui esposte e vendute come figure o gruppi indipendenti solo in un secondo tempo. Tra il 1885 e il 1895 realizzò, per l’omonima città, il monumento I borghesi di Calais. La collocazione su un piedistallo fu decisa dall’autorità pubblica di Calais, mentre l’artista pensava ad una soluzione che coinvolgesse i passanti in modo teatrale. Egli stesso scriverà “…io volevo far cementare le mie statue, una dietro l’altra, davanti al municipio di Calais, proprio nel mezzo al selciato della piazza, come una corte vivente di sofferenza e sacrificio. Sarebbe sembrato così che i miei personaggi si ergessero dal Municipio al campo di Edoardo III; e gli attuali abitanti di Calais, quasi sfiorandoli nel passare, avrebbero meglio sentito l’antica solidarietà che li lega a questi eroi. Sarebbe stato, credo, di grande effetto. Ma rifiutarono il mio progetto e mi imposero un piedistallo tanto deforme quanto inutile. Hanno sbagliato, ne sono certo”. Da lì in poi saranno commissioni su commissioni, ma anche rifiuti su rifiuti. Parte delle sculture e della vastissima produzione grafica è oggi custodita nella casa parigina dell’artista in rue de Varenne, donata alla Francia nel 1916 e trasformata nel Musée Rodin.

Dopo i monumenti pubblici, il ritratto di personaggi in vista era il mezzo più efficace di far progredire la carriera dello scultore. Oltre a quelli degli artisti amici, ci sono quelli più prestigiosi, e tutti contribuirono a lanciare la sua carriera: il più importante è sicuramente quello di Victor Hugo, modellato nel 1883, e parte di una strategia deliberata di promozione dell’artista grazie alla celebrità del modello. Hugo si rifiutò però di posare, ma aprì allo scultore le porte della sua residenza a Parigi e gli permise di fare qualche schizzo preso dal vivo, durante i suoi pasti o le sue sieste. Rodin disegnò nella cavità della sua mano, su fogli di carta da sigarette, una serie di schizzi della testa del poeta, prima di precipitarsi nella veranda, dove aveva preparato e posizionato il suo basamento da scultore, per riprodurre nella terra ciò che aveva riportato sulla carta. Il ritratto fu completato poco prima della morte dello scrittore due anni dopo e l’artista gliene fece dono. Rodin, che ha sempre dedicato una grande ammirazione verso poeti come Dante o Baudelaire, incise alla base del collo, come ultimo omaggio la dedica “À l’illustre maître”. Sempre degli inizi della carriera è La Maschera dell’uomo dal naso rotto del 1863. La storia di quest’opera è lunga: ispirato da un vecchio uomo del quartiere Saint-Marcel, conosciuto con il nome di ‘Bibi’, il busto iniziò a poco a poco a divenire un ritratto; ma Rodin ne accentuò certi tratti – il naso rotto, le rughe profonde, la barba, insieme al taglio del busto e alla sua nudità ‘filosofica’, la banda ‘anticheggiante’ fra i capelli – che rafforzano l’impressione di un’opera niente affatto ritratto individuale ma che ricorda elementi molto generici che sono quelli del filosofo e dell’artista. E per finire La mano di Dio del 1886: qui le figure di Adamo ed Eva si staccano con difficoltà da un pezzo di terra, tenuta da una grande mano destra emergente dalla massa appena sgrossata da un blocco di marmo. Simbolicamente, La mano di Dio che crea i progenitori è quella dello scultore che impasta l’argilla per farne nascere i suoi personaggi. Il contrasto è fra le parti pulite e il marmo ruvido; l’attitudine di Eva, che evoca l’immagine del Giorno nella cappella medicea a San Lorenzo a Firenze, fanno eco al lavoro di Michelangelo, per il quale la scultura, nascosta nel blocco di marmo, doveva esserne estratta dal lavoro dello scultore.

Ma forse più di Rodin famoso ai suoi tempi e in ogni epoca, vorrei soffermarmi sulla storia di una sua modella, musa e allieva – spesso dimenticata dal mondo dell’arte: Camille Claudel. Nel corso Upter tenuto da me e dal collega Guido Fiandra (Cinema e Pittura) vi riporto di seguito un breve passo dedicato alla brava artista e alla trasposizione della sua vita in un film.

« La pellicola del 1988 è diretta da Bruno Nuytten ed è tratta dal libro di Reine-Marie-Paris. I due personaggi principali sono interpretati da Isabelle Adjani (Camille) e Gérard Depardieu (Rodin). Lo scultore francese Rodin, uno dei maggiori artisti della sua epoca, partito da suggestioni michelangiolesche che ne esaltavano il “non finito”, seppe dar vita a creazioni talvolta impressioniste talvolta simboliste di rara potenza, così si espresse su Camille Claudel, sua modella e musa, poi allieva: “Ha una natura profondamente personale, che attira per la grazia ma respinge per il temperamento selvaggio”. Già dodicenne Camille dimostrò forte interesse per la scultura iniziando con la tecnica del modellato e creando lavori di altro e tale livello da far sì che il padre le permettesse di recarsi a Parigi presso l’Académie Colarossi. Diciottenne espose i suoi lavori al Salon e subito dopo conobbe Rodin, al tempo già quarantunenne. Fra i due nacque un legame che travalicava il rapporto amoroso e sconfinava nel comune lavoro con reciproche influenze, pur se Rodin aveva già un precedente legame con Rose Beuret suggellato dalla nascita di un figlio di appena un paio d’anni più giovane della Claudel. Rose Beuret era abituata alle frequenti avventure di Rodin e quest’ultimo non aveva nessuna intenzione di lasciarla per un rapporto stabile con Camille. Da ciò è facile dedurre che il rapporto fra Rodin e la Claudel fu complesso e assai tormentato. Rodin “narra” l’evolversi del suo amore verso la Claudel in numerosi disegni che sono oggi al Musée Rodin a Parigi: tali disegni hanno un rilevante contenuto erotico, così come alcuni lavori della stessa Camille che si rifanno al KāmaSūtra. Una delle sculture più conosciute della Claudel sia per stile che per maestosità è il grande bronzo L’Âge Mûr di cui ci sono pervenute due versioni: in ognuna Camille sintetizza tutto l’insieme di sentimenti e la passione amorosa vi traspare senza indugio alcuno. Il gruppo scultoreo fa richiamo al Rodin stesso ‘indeciso’ fra Rose e Camille che è simboleggiata dalla figura che tenta di trattenere il ‘vecchio’ amante che ormai si sta rivolgendo verso la sua futura sposa dimostrando comunque una certa esitazione. Alcuni studiosi hanno posto in relazione aspetti importanti del lavoro della Claudel con il suo difficile vissuto dovuto al complesso rapporto con la madre: quando la Claudel fu internata in manicomio appena una settimana dopo la morte del padre nel 1913, fu proprio la madre coadiuvata dal fratello che volle farla rimanere lì a dispetto del parere dei medici curanti che non ritenevano necessario un internamento per i problemi psichici veri o presunti che presentava la ragazza. La madre non fece mai visita alla figlia durante la degenza nel sanatorio e lo psicanalista Luca Trabucco ipotizza che nel grande bronzo il sottofondo non è l’abbandono da parte di Rodin ma un abbandono, dal punto di vista psichico, subito durante l’infanzia. Quindi a fronte di una madre profondamente depressa e delusa ella si rivolge al padre, col quale si stabilisce una relazione di complicità e di idealizzazione, che, se da un lato la sostiene, dall’altro diviene, presumibilmente, la fonte primaria della sua fragilità. Tutta la sua vicenda umana sembra segnata da questo ‘trionfo’ edipico, che tuttavia le toglie proprio la possibilità di una identificazione femminile: il suo carattere vigoroso, solare, pertinace, ha qualcosa che la lega al cipiglio virile con cui affronta la scultura ».

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La mostra su Rodin si è appena conclusa lasciando tutti coloro che non avevamo mai visto dal vivo opere del grande scultore ottocentesco, sbigottiti per la forza e l’incisività di alcune sue opere – La mano di Dio, Busto di Victor Hugo, Maschera dell’uomo dal naso rotto – ma d’altronde Auguste era un creatore fuori delle regole, un lavoratore accanito.

François-Auguste-René Rodin era nato nel 1840 e – dopo una formazione presso pittori famosi e scuole d’arte minori, intorno al 1875 parte per l’Italia dove scopre e studia l’opera di Michelangelo Buonarroti – scoperta determinante per il seguito del suo lavoro. Al suo ritorno nel 1876 opera una rottura nella storia della scultura, aprendo la strada all’arte del XX secolo, con l’introduzione nella sua opera di processi tecnici e di pregiudizi plastici che si trovano al centro della sua estetica. Subito gli viene commissionata la porta bronzea per il Musée des Arts Decoratifs: sceglierà un soggetto dantesco (donde il nome di Porta dell’Inferno) e lavorerà fino alla morte nel tentativo, mai condotto a termine, di realizzare una grande allegoria della dannazione attraverso la rappresentazione del nudo – un romantico e caotico insieme di figure, memori del “Giudizio Universale” di Michelangelo, delle illustrazioni per la “Divina Commedia” di Gustave Doré e dell’opera di William Blake. L’unica descrizione che ne abbiamo, quando era quasi completa, la dobbiamo al critico e romanziere Octave Mirbeau, amico ed ammiratore dello scultore. Il definitivo assetto (quello che noi vediamo negli esemplari di Parigi, Zurigo, Filadelfia e Tokyo) è il frutto di un montaggio realizzato con relativo disinteresse dell’artista negli ultimi anni della sua vita, e le quattro fusioni in bronzo sono postume. Benché sia un’opera incompiuta, la Porta dell’Inferno segna la tappa più significativa della storia creativa di Rodin. Gran parte delle figure da lui modellate[1] tra il 1880 e il 1890 erano infatti pensate per entrare a far parte della porta, e furono da lui esposte e vendute come figure o gruppi indipendenti solo in un secondo tempo. Tra il 1885 e il 1895 realizzò, per l’omonima città, il monumento I borghesi di Calais. La collocazione su un piedistallo fu decisa dall’autorità pubblica di Calais, mentre l’artista pensava ad una soluzione che coinvolgesse i passanti in modo teatrale. Egli stesso scriverà “…io volevo far cementare le mie statue, una dietro l’altra, davanti al municipio di Calais, proprio nel mezzo al selciato della piazza, come una corte vivente di sofferenza e sacrificio. Sarebbe sembrato così che i miei personaggi si ergessero dal Municipio al campo di Edoardo III; e gli attuali abitanti di Calais, quasi sfiorandoli nel passare, avrebbero meglio sentito l’antica solidarietà che li lega a questi eroi. Sarebbe stato, credo, di grande effetto. Ma rifiutarono il mio progetto e mi imposero un piedistallo tanto deforme quanto inutile. Hanno sbagliato, ne sono certo”. Da lì in poi saranno commissioni su commissioni, ma anche rifiuti su rifiuti. Parte delle sculture e della vastissima produzione grafica è oggi custodita nella casa parigina dell’artista in rue de Varenne, donata alla Francia nel 1916 e trasformata nel Musée Rodin.

Dopo i monumenti pubblici, il ritratto di personaggi in vista era il mezzo più efficace di far progredire la carriera dello scultore. Oltre a quelli degli artisti amici, ci sono quelli più prestigiosi, e tutti contribuirono a lanciare la sua carriera: il più importante è sicuramente quello di Victor Hugo, modellato nel 1883, e parte di una strategia deliberata di promozione dell’artista grazie alla celebrità del modello. Hugo si rifiutò però di posare, ma aprì allo scultore le porte della sua residenza a Parigi e gli permise di fare qualche schizzo preso dal vivo, durante i suoi pasti o le sue sieste. Rodin disegnò nella cavità della sua mano, su fogli di carta da sigarette, una serie di schizzi della testa del poeta, prima di precipitarsi nella veranda, dove aveva preparato e posizionato il suo basamento da scultore, per riprodurre nella terra ciò che aveva riportato sulla carta. Il ritratto fu completato poco prima della morte dello scrittore due anni dopo e l’artista gliene fece dono. Rodin, che ha sempre dedicato una grande ammirazione verso poeti come Dante o Baudelaire, incise alla base del collo, come ultimo omaggio la dedica “À l’illustre maître”. Sempre degli inizi della carriera è La Maschera dell’uomo dal naso rotto del 1863. La storia di quest’opera è lunga: ispirato da un vecchio uomo del quartiere Saint-Marcel, conosciuto con il nome di ‘Bibi’, il busto iniziò a poco a poco a divenire un ritratto; ma Rodin ne accentuò certi tratti – il naso rotto, le rughe profonde, la barba, insieme al taglio del busto e alla sua nudità ‘filosofica’, la banda ‘anticheggiante’ fra i capelli – che rafforzano l’impressione di un’opera niente affatto ritratto individuale ma che ricorda elementi molto generici che sono quelli del filosofo e dell’artista. E per finire La mano di Dio del 1886: qui le figure di Adamo ed Eva si staccano con difficoltà da un pezzo di terra, tenuta da una grande mano destra emergente dalla massa appena sgrossata da un blocco di marmo. Simbolicamente, La mano di Dio che crea i progenitori è quella dello scultore che impasta l’argilla per farne nascere i suoi personaggi. Il contrasto è fra le parti pulite e il marmo ruvido; l’attitudine di Eva, che evoca l’immagine del Giorno nella cappella medicea a San Lorenzo a Firenze, fanno eco al lavoro di Michelangelo, per il quale la scultura, nascosta nel blocco di marmo, doveva esserne estratta dal lavoro dello scultore.

Ma forse più di Rodin famoso ai suoi tempi e in ogni epoca, vorrei soffermarmi sulla storia di una sua modella, musa e allieva – spesso dimenticata dal mondo dell’arte: Camille Claudel. Nel corso Upter tenuto da me e dal collega Guido Fiandra (Cinema e Pittura) vi riporto di seguito un breve passo dedicato alla brava artista e alla trasposizione della sua vita in un film.

« La pellicola del 1988 è diretta da Bruno Nuytten ed è tratta dal libro di Reine-Marie-Paris. I due personaggi principali sono interpretati da Isabelle Adjani (Camille) e Gérard Depardieu (Rodin). Lo scultore francese Rodin, uno dei maggiori artisti della sua epoca, partito da suggestioni michelangiolesche che ne esaltavano il “non finito”, seppe dar vita a creazioni talvolta impressioniste talvolta simboliste di rara potenza, così si espresse su Camille Claudel, sua modella e musa, poi allieva: “Ha una natura profondamente personale, che attira per la grazia ma respinge per il temperamento selvaggio”. Già dodicenne Camille dimostrò forte interesse per la scultura iniziando con la tecnica del modellato e creando lavori di altro e tale livello da far sì che il padre le permettesse di recarsi a Parigi presso l’Académie Colarossi. Diciottenne espose i suoi lavori al Salon e subito dopo conobbe Rodin, al tempo già quarantunenne. Fra i due nacque un legame che travalicava il rapporto amoroso e sconfinava nel comune lavoro con reciproche influenze, pur se Rodin aveva già un precedente legame con Rose Beuret suggellato dalla nascita di un figlio di appena un paio d’anni più giovane della Claudel. Rose Beuret era abituata alle frequenti avventure di Rodin e quest’ultimo non aveva nessuna intenzione di lasciarla per un rapporto stabile con Camille. Da ciò è facile dedurre che il rapporto fra Rodin e la Claudel fu complesso e assai tormentato. Rodin “narra” l’evolversi del suo amore verso la Claudel in numerosi disegni che sono oggi al Musée Rodin a Parigi: tali disegni hanno un rilevante contenuto erotico, così come alcuni lavori della stessa Camille che si rifanno al KāmaSūtra. Una delle sculture più conosciute della Claudel sia per stile che per maestosità è il grande bronzo L’Âge Mûr di cui ci sono pervenute due versioni: in ognuna Camille sintetizza tutto l’insieme di sentimenti e la passione amorosa vi traspare senza indugio alcuno. Il gruppo scultoreo fa richiamo al Rodin stesso ‘indeciso’ fra Rose e Camille che è simboleggiata dalla figura che tenta di trattenere il ‘vecchio’ amante che ormai si sta rivolgendo verso la sua futura sposa dimostrando comunque una certa esitazione. Alcuni studiosi hanno posto in relazione aspetti importanti del lavoro della Claudel con il suo difficile vissuto dovuto al complesso rapporto con la madre: quando la Claudel fu internata in manicomio appena una settimana dopo la morte del padre nel 1913, fu proprio la madre coadiuvata dal fratello che volle farla rimanere lì a dispetto del parere dei medici curanti che non ritenevano necessario un internamento per i problemi psichici veri o presunti che presentava la ragazza. La madre non fece mai visita alla figlia durante la degenza nel sanatorio e lo psicanalista Luca Trabucco ipotizza che nel grande bronzo il sottofondo non è l’abbandono da parte di Rodin ma un abbandono, dal punto di vista psichico, subito durante l’infanzia. Quindi a fronte di una madre profondamente depressa e delusa ella si rivolge al padre, col quale si stabilisce una relazione di complicità e di idealizzazione, che, se da un lato la sostiene, dall’altro diviene, presumibilmente, la fonte primaria della sua fragilità. Tutta la sua vicenda umana sembra segnata da questo ‘trionfo’ edipico, che tuttavia le toglie proprio la possibilità di una identificazione femminile: il suo carattere vigoroso, solare, pertinace, ha qualcosa che la lega al cipiglio virile con cui affronta la scultura ».

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Auguste Rodin, Maschera dell’uomo dal naso rotto, 1863

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Auguste Rodin, La mano di Dio, 1886, Parigi, Musée Rodin

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Auguste Rodin, La mano di Dio, 1886

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Michelangelo, Il Giorno, Firenze, Cappelle Medicee

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Auguste Rodin, Rose Beuret

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Camille Claudel al lavoro

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Camille Claudel, L’Âge Mûr, Parigi, Musée d’Orsay

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Auguste Rodin, disegni erotici

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Auguste Rodin, Kiss

[1] Vi ricorda qualcosa tutto ciò? La “tragedia della sepoltura” (Tomba di Giulio II) per Michelangelo.

 
 
 

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