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FRIDA KAHLO alle Scuderie del Quirinale (Laurenti, Stefania)

  • Immagine del redattore: preside713
    preside713
  • 28 mag 2014
  • Tempo di lettura: 9 min

“Una vera pittrice non riesce a vivere senza dipingere, dipinge fino alla morte"...Diego Rivera

Una mostra che sicuramente non si dimentica quella dedicata alla pittrice messicana Frida Kahlo perché racchiude non certo tutte le sue opere e non le più famose, ma certamente alcuni fra gli Autoritratti più intensi. E proprio agli autoritratti di Frida e alla sua vita più intima vorrei dedicare queste considerazioni. Da sempre ebbe una predilezione per l’autoritratto come documento comprovante la sua presenza su questa terra: Frida dipingeva metodicamente, quasi con l’intento terapeutico di dar vita a un diario per immagini in cui fissare le proprie ossessioni. Viene da chiedersi – e alcuni critici lo hanno già fatto – se questo suo interesse rivolto solo verso se stessa sia reale o non è invece un’ironica, sofisticata, controllatissima e cosciente messa in scena, gioco teatrale in cui il soggetto narrante fa del mettersi a nudo la maschera integrale per definizione, l’assoluta finzione?

Frida era nata il 6 luglio 1907 a Coyoacán, un sobborgo di Città del Messico, nella grande Casa Azul, la Casa Azzurra, che oggi ospita il museo a lei dedicato. Minuta e precocissima, Frida rivelò, fin da bambina, quel carattere ribelle e anticonformista che doveva fare di lei una pioniera del femminismo e un’artista pronta a vivere fuori da ogni regola e convenzione; ma nulla lasciava prevedere la sua vocazione alla pittura (sognava di studiare medicina). Le malattie che le devastarono il corpo la spinsero invece verso tele e colori. Aveva solo 6 anni quando la poliomielite[1] rischiò di ucciderla per la prima volta; guarì, ma si ritrovò con la gamba destra più sottile della sinistra, e con il piede mal sviluppato. Da adulta, avrebbe imparato a mascherare i suoi problemi indossando le lunghe gonne delle popolane messicane o addirittura quegli abiti maschili che sottolineavano il suo stile di vita indipendente e anticonformista, e diventarono parte integrante del suo stile. A 18 anni vide la morte in faccia per la seconda volta: il bus sul quale viaggiava con Alejandro (il suo fidanzatino di allora) si scontrò con un tram, lasciandola con molteplici fratture dall’omero al bacino: la colonna vertebrale si spezzò in tre punti nella regione lombare, si frantumò il collo del femore, le costole, la gamba sinistra ebbe 11 fratture, il piede destro slogato e schiacciato, lussazione alla spalla sinistra e l’osso pelvico spezzato in tre; inoltre un corrimano dell’autobus le entrò nel fianco e le uscì dalla vagina. I medici trascurarono la lesione che aveva riportato alla spina dorsale: quando corsero ai ripari, imponendole 9 mesi di immobilità totale, il danno era ormai irreparabile. Frida era giovane e desiderosa di vita; e aveva una propensione per la trasgressione. Il terribile incidente mutilò il suo corpo, che divenne una prigione deteriorabile nel tempo: era diventata una storpia (era soprannominata “Frida gamba di legno”) e il dolore fisico ed esistenziale divenne il suo unico compagno di vita. Non che la sua voglia di vivere diminuisse per questo, anzi. Fu comunque proprio durante quel lungo periodo di sofferenza che Frida cominciò a dipingere con maggiore intensità, sia pure senza particolari ambizioni. Colori e pennelli l’aiutavano soprattutto a vincere noia e dolore, e gli innumerevoli autoritratti[2] forse l’aiutavano a dimenticare per qualche ora gli infiniti problemi del suo corpo ferito. Le ci vollero quasi 3 anni per rimettersi in piedi e per riprendere una vita quasi normale. Fu allora che andò a trovare Diego Rivera, uno dei pittori più ammirati di quel tempo. Ufficialmente voleva solo mostrargli i suoi lavori e avere da lui un parere da esperto; in realtà, inseguiva un sogno ben diverso e da parecchio tempo. Frida conosceva infatti Rivera da quando aveva 15 anni e già a quel tempo aveva confidato al suo diario: “Voglio avere un figlio da Diego. Prima o poi glielo dirò„. Comunque sia, il grande pittore si dichiarò entusiasta del suo lavoro e anche di lei, e cominciò a farle una corte serrata. Guillermo Kahlo[3] ritenne doveroso metterlo in guardia: “Sappia – gli disse – che mia figlia ha il diavolo in corpo“. “Lo so” – rispose pacato Rivera, un omone di 150 chili reduce da due matrimoni falliti e da una lunga serie di tempestosi legami sentimentali. Del resto, fu proprio una delle sue ex, la fotografa italiana Tina Modotti, che era diventata amica e confidente della Kahlo a incoraggiare il loro amore. Si sposarono il 21 agosto 1929 (Frida aveva 22 anni, Diego 43), ma lui aveva cominciato a tradirla prima delle nozze. È evidente che non poteva durare, eppure i due si attraevano proprio per la loro diversità e iniziarono così una nuova vita … di tradimenti. I due vanno insieme negli Stati Uniti per conquistarli alle loro teorie comuniste, assistono a King Kong ma, come lo scimmione, sono rigettati dal paese del capitalismo; in Messico ospitano l’esule Trotskij e Frida finisce in prigione dopo il suo assassinio. “Essere la moglie di Diego è la cosa più bella del mondo… gli permetto di giocare al matrimonio con altre donne. Diego non è il marito di nessuna e mai lo sarà, ma è un ottimo compagno„. E su questo aveva ragione: Rivera le apre le porte dei raffinati circoli culturali che frequentava e che le sarebbero rimasti preclusi poichè era solo una pittrice emergente. Da lui assimila uno stile naïf, che la porta a dipingere piccoli autoritratti ispirati all’arte popolare e alle tradizioni precolombiane. La sua intenzione era, ricorrendo a soggetti tratti dalle civiltà native, di affermare la propria identità messicana. Innamoratissima del marito e rassegnata alle sue intemperanze, Frida tenta per tre volte di dargli un figlio sfidando il divieto dei medici che temevano per la sua vita, ma rimane sempre delusa. E quelle gravidanze fallite complicano ancor di più la loro convivenza. Nel 1935 Frida scopre che Diego aveva una relazione con sua sorella Cristina, così decide sull’istante di lasciarlo chiedendo il divorzio, ma solo per tornare da Rivera un anno più tardi: la sua vita con lui era difficile, ma non poteva restargli lontana. “Ho avuto due grossi incidenti in vita mia: il primo mi ha fatto scontrare con un tram e l’altro mi ha portato tra le braccia di Diego„. Per altro, a dispetto dei suoi infiniti malanni, dei 35 interventi cui dovette sottoporsi e dei lunghi periodi di depressione, dell’alcool e delle droghe in cui cercava rifugio, Frida non faticò a pareggiare i conti col marito prendendosi una lunga serie di amanti: uomini come il surrealista André Breton, il fotografo Nickolas Muray, il pittore David Alfaro Siqueiros, lo scultore Isamu Nogochí e il rivoluzionario russo Leon Trotzkij; ma anche donne affascinanti come la fotografa Tina Modotti, le attrici Maria Felix e Dolores Del Rio e la grande pittrice americana Georgia O’ Keeffe – in quanto lei si professava bisessuale. Nel 1940, dopo un infinito carosello sentimentale costellato di arresti, censure e fughe dovuti alla loro attività politica, Rivera e Frida finirono per risposarsi e si trasferirono nella Casa Azul dove Frida era nata: qui accolsero gli amici di sempre come il miliardario americano Nelson Rockefeller, uno dei loro più convinti mecenati, e il grande regista russo Sergei Eisenstein. La loro unione, nonostante l’intesa ritrovata, doveva comunque affrontare altre difficoltà: i coniugi Rivera si separarono di nuovo nel 1944, per riconciliarsi ancora una volta nel 1945. E, alla fine, dopo aver vissuto ‘sottomessa’ alla personalità del marito, qualcuno si rende conto del peso della sua pittura e Frida può godere di una personale in patria. Ma il suo corpo è ormai allo stremo, è diventato una prigione di cui lei stessa affermerà nel suo diario “Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non dover più far ritorno„ e il letto, in precedenza suo compagno di licenziosi svaghi, ora diventa compagno inseparabile pena la morte. Pochi anni prima della sua morte le venne amputata la gamba destra, ormai in cancrena. Morì di polmonite bronchiale. Il suo corpo sarà cremato e le sue ceneri sono conservate nella sua Casa Azul, oggi sede del Museo Frida Kahlo.

Il rapporto ossessivo con il suo corpo martoriato caratterizza uno degli aspetti fondamentali della sua arte: crea visioni del corpo femminile non più distorto da uno sguardo maschile. Si tratta di quadri di piccole dimensioni (spesso 30×37 cm.) dove si autoritrae con una colonna romana fratturata a ricordo della sua spina dorsale e circondata dalle numerose scimmie che cura come figlie nella sua casa. A partire dal 1938 l’attività pittorica s’intensifica: i suoi dipinti non si limitano più alla semplice descrizione degli incidenti della sua vita, parlano del suo stato interiore e del suo modo di percepire la relazione con il mondo e quasi tutti includono tra i soggetti un bambino, sua personificazione. In quegli anni a Parigi il poeta e saggista surrealista André Breton vide per la prima volta il suo lavoro: ne rimase talmente colpito da proporle una mostra a Parigi proclamando che Frida era “una surrealista creatasi con le proprie mani”. Nella capitale francese Frida frequenta i surrealisti facendosi scortare nei caffè e nei night club; tuttavia trova la città decadente. Sapeva che l’etichetta surrealista le avrebbe portato l’approvazione dei critici, ma allo stesso tempo le piaceva l’idea di essere considerata un’artista originale. Quello che può essere considerato il suo lavoro più surrealista è il quadro Ciò che l’acqua mi ha dato: immagini di paura, sessualità, memoria e dolore galleggiano nell’acqua di una vasca da bagno, dalla quale affiorano le gambe dell’artista. In quest’opera così enigmatica sono chiari i riferimenti a Salvador Dalí, soprattutto per l’insistenza sui dettagli minuti. Estremamente surreale è anche il suo diario personale, iniziato nel 1944 e tenuto fino alla morte, una sorta di monologo interiore scandito da immagini e parole. Per molte immagini il punto di partenza era una macchia di inchiostro o una linea, come se usasse la tecnica dell’automatismo per verificare le sue nevrosi. In ogni caso, nonostante l’accento posto sul dolore, sull’erotismo represso e sull’uso di figure ibride, la visione di Frida era ben lontana da quella surrealista: la sua immaginazione non era un modo per uscire dalla logica ed immergersi nel subconscio, ma piuttosto il prodotto della sua vita che lei cercava di rendere accessibile attraverso il simbolismo. La sua idea di surrealismo era giocosa, diceva che esso “è la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie„. Anni dopo però la stessa Frida negherà violentemente di aver preso parte al movimento, forse perché negli anni ‘40 il movimento stesso aveva cessato di essere di moda. Dagli anni ‘70 è assurta a figura di culto e a icona massmediologica internazionale, eppure ci ha lasciato un ridotto corpus di opere pittoriche, oltre a un diario e ad un ampio epistolario. Passato del tempo, la pittrice si ammala di polmonite, malattia che la porterà alla morte – nonostante avesse solo 47 anni.

Fra i tanti biopic[4] degli ultimi anni sulle vite di artisti il film – tratto dal bel libro Frida: A Biography of Frida Kahlo di Hayden Herrera (casa editrice La Tartaruga), a tutt’oggi sua insuperata biografa – diretto dalla regista di culto Julie Taymor (che opera fra teatro e cinema) nel 2002 e interpretato da Salma Hayek è uno dei migliori. Assieme a Tina Modotti, Frida Kahlo rappresenta una delle figure femminili più affascinanti e in anticipo sui tempi di tutto il secolo scorso. Ed è bello che Salma Hayek se ne sia lasciata sedurre e abbaia dimostrato una grande passione nei suoi confronti, battendosi con tutti i mezzi e le sue energie per riuscire a produrre un film su questa donna eccezionale. La sua interpretazione è intensa e se ci si Assieme a Tina Modotti, Frida Kahlo rappresenta una delle figure femminili più affascinanti e in anticipo sui tempi di tutto il secolo scorso. Ed è bello che Salma Hayek se ne sia lasciata sedurre, battendosi fortissimamente per riuscire a produrre-interpretare un film su questa donna eccezionale.

Nonostante le tiepide accoglienze e le critiche non esaltanti il film è da vedere per lo scintillante apparato visivo fatto di ambienti e colori, per i bellissimi costumi di Julie Weiss, per le molte opere della pittrice e la ricostruzione della CASA AZUL. Una curiosità alcuni dei quadri attribuiti nel film alla Kahlo sono stati dipinti da Salma Hayek.

Assieme a Tina Modotti, Frida Kahlo rappresenta una delle figure femminili più affascinanti e in anticipo sui tempi di tutto il secolo scorso. Ed è bello che Salma Hayek se ne sia lasciata sedurre, battendosi fortissimamente per riuscire a produrre-interpretare un film su questa donna eccezionale.

Come spesso succede nei biopics, il film si focalizza sulla personalità e le parentesi intimistiche della pittrice, ma il bagno costante nella cultura e nel sapore di una tipica “messicanità” (senza nulla concedere allo stereotipo), l’innesto nella pellicola dell’onirismo e della dimensione da incubo della pittura della Kahlo (che, nella trasposizione della Taymor, spesso si risolve in tableaux vivants o in schegge di visionarietà che troveranno spazio nelle tele della pittrice messicana) riesce a dare alla pellicola un’originalità visiva non scontata che, in ultima istanza, contribuisce a definire il personaggio e a traghettare lo spettatore verso un finale intenso che ha strappato un breve ma sincero applauso a fine proiezione. E intenso, in questo senso, è il binomio arte/vita che il film riesce ad evidenziare e che ci ha ricordato l’intensità di un’altro film sul tema, Before Night Falls (2000) di Julian Schnabel con Javier Bardem.

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Frida Kahlo, Ciò che ho visto nell’acqua e ciò che l’acqua mi ha dato, 1938

“Se Dio esistesse, mi dovrebbe molte spiegazioni… che me ne faccio di voi, piedi, se ho le ali per volare…" (Frida Kahlo)

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Frida Kahlo, Autoritratto con collana di spine, 1940

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Frida Kahlo, Il Sogno (o Il Letto), 1940

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Frida Kahlo, La colonna spezzata, 1944

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Frida Kahlo, Il piccolo cervo, 1946

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Frida Kahlo, L’albero della speranza, 1946

“Gioco con la vita. Con il Fuoco della vita.

Il mio viaggio lo conferma. Da qualche parte fra

la vita e la morte … sul filo del rasoio … corro

tutti i rischi!„ (Frida Kahlo)

[1] Affetta da spina bifida, che i genitori e le persone intorno a lei scambiarono per poliomielite (ne era affetta anche sua sorella minore).

[2] “Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio„.

[3] Il padre di Frida, fotografo di origini tedesche.

[4] BIOPIC: termine di lingua inglese ricavato dalla contrazione dei lemmi biographic picture/biographic film, appunto film biografico.

 
 
 

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