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Hans Memling Rinascimento fiammingo (Laurenti, Stefania)

  • Immagine del redattore: preside713
    preside713
  • 1 giu 2014
  • Tempo di lettura: 18 min

Immaginate, in mezzo agli orrori del secolo, un luogo privilegiato, una sorta di eremo angelico ideale, silenzioso e chiuso, in cui tacciono le passioni, i turbamenti finiscono, si prega, si adora, tutto si trasfigura, brutture fisiche, brutture morali, nascono sentimenti nuovi, come gigli spuntano ingenuità, dolcezze e una mansuetudine sovrannaturali: avrete così un’idea dell’ispirazione davvero unica di Hans Memling e del miracolo che egli compie nei suoi quadri.

NASCITA

Hans nasce a Seligenstad città sulla riva sinistra del Meno, nel distretto di Darmstadt e prossima al confine con la Baviera intorno al 1435-1440. Ecco il primo dilemma: la data di nascita. È senz’altro probabile che abbia seguito un apprendistato di pittore a Colonia prima di iniziare a lavorare come artista itinerante nei Paesi Bassi: la sua dimestichezza con le composizioni e i modelli di Dieric Bouts (1415-1475) e Rogier van der Weyden, chiaramente visibile nei suoi dipinti, suggerisce comunque che abbia lavorato in quei luoghi prima di aprire la propria bottega a Bruges nel 1465. Affiancato da una bottega ben strutturata, avviò un’abbondante produzione di dipinti devozionali, in cui si manifesta tutta la sua impressionante capacità operativa, su opere di grandi dimensioni e notevole complessità. A questi lavori intervallò pungenti ritratti, che gli garantirono presto una dilagante fortuna internazionale, dalle città anseatiche all’Italia (compresa l’elitaria Firenze medicea).

APPRENDISTATO. van der Weyden e gli “altri”

Motivi stilistici che evidenziano la stretta dipendenza delle sue opere giovanili dalla pittura di Rogier van der Weyden (1399-1464), lo fanno ritenere allievo di quest’ultimo a Bruxelles, nei primi anni sessanta, fino al suo trasferimento a Bruges dopo la morte del suo maestro avvenuta nel 1464, e il conseguimento della cittadinanza della città fiamminga il 30 gennaio 1465. A Bruges, dove la stella di Petrus Christus (1410-1475) era ormai in declino, Memling colmò un vuoto importante, aggiudicandosi commissioni prestigiose.

Ed eccoci alla prima sezione della mostra dove sono messe a confronto un’opera del suo presunto[1] maestro –Compianto su Cristo e Deposizione nel sepolcro (1460-’65)[2] e una sua – Trittico di Jan Crabbe (1470) – per la prima volta ed eccezionalmente ricostruito per questa mostra dal momento che la parte centrale arriva da Vicenza[3], le ali interne a New York[4] e quelle esterne a Bruges[5]. Il confronto tra i due artisti dovrebbe far comprendere perché Memling divenne così popolare presso la committenza italiana e perché i suoi lavori erano parimenti richiesti dai clienti e dagli artisti. Ma io vorrei fare un appunto: van der Weyden aveva sicuramente in mente l’analogo soggetto di Beato Angelico, del quale riprese la posa dei personaggi laterali e l’apertura rettangolare del sepolcro entro una grotta rocciosa. Per il pittore fiammingo era però impossibile imitare la composizione ordinata e solenne dell’italiano, fatta di pause con una scansione ordinata dei piani, altrimenti avrebbe significato scompaginare la propria visione artistica. La scena infatti è più affollata e complessa, con un gruppo posto a semicerchio attorno al Cristo, sbilanciato dall’asse diagonale che va dalla Maddalena a Giovanni tramite la pietra sepolcrale. Perpendicolare a questo asse si contrappone la figura di Cristo, leggermente inclinato di lato. Il punto di vista e la linea dell’orizzonte sono più alti, secondo la visione avvolgente dei fiamminghi, le linee sono ritmicamente spezzate e gli sguardi più angosciati. Questi elementi rendono lo spettatore più partecipe, anche dal punto di vista emotivo. I colori sono più accesi e forti, la luce più brillante, grazie anche alla tecnica ad olio. Alla sintesi tipicamente italiana dell’Angelico si contrappone poi la resa minuziosa e lenticolare dei dettagli, dal nitido paesaggio, alle erbette che crescono sulla roccia o alla staccionata di legno. Il movimento del corpo di Cristo potevano disturbare la concentrazione dei fedeli, distrarli: c’era il rischio del ricevimento di una banalizzazione nella trattazione del tema sacro e intoccabile nei suoi stilemi classici. La scena è teatrale e lo stesso pittore se ne rende conto, correndo ai ripari con le figure di contorno. Ne esce un’opera disequilibrata, ma proprio per questo affascinante. Con una specie di sforzo sovrumano, van der Weyden cerca di eseguire una narrazione concitata, ma ordinata nella concitazione grazie ad uno sfondo convenzionale. Le altre figure seguono la scena assumendo posizioni rigide, qualcuna un pò sgraziata a sottolineare pesantemente la tragicità di ciò che sta avvenendo sotto i suoi occhi. Miracolosamente, il pittore fiammingo riesce a rendere accettabile questo insieme non omogeneo, avvalendosi di una perizia esecutiva eccezionale e una capacità coloristica straordinaria. Il dipinto abbaglia, la scenografia complessiva è molto curata, il senso del sacro ha una sua profondità, il plasticismo, neanche tanto contenuto, suscita una pietas immediata, sanguigna e allo stesso tempo aggraziata.

SPIRITUALITÀ Italiana e fiamminga a confronto

Ancora più che nel precedente confronto l’idea di spiritualità nord europea/italiana e l’iconografia religiosa nord europea/italiana si potrà notare nelle raffigurazioni della Madonna in trono e dell’Annunciazione italiane e fiamminghe.

Ciò che trasmette, principalmente, la pittura fiamminga è un fascino della fede che solleva dalle pene terrene e fa sognare un mondo ideale e questo lo possiamo notare sia in Robert Campin (1378-1444) che nel suo allievo Rogier van der Weyden. Il primo soprattutto suggerisce, con la sontuosità delle immagini, una sorta di comprensione del sacro e di condivisione della sua importanza, da parte dell’uomo, per la morale esistenziale; in lui la ricchezza fiamminga si traduce, in questa esibizione artistica, con la dimostrazione della raggiunta e opportuna dignità di saper riprodurre il giusto clima spirituale divino: tutto questo da una posizione subordinata, ma non servile. Campin così dimostra il possesso di una certa coscienza nella trattazione delle cose “superiori”, ed è una coscienza devota quanto orgogliosa della devozione esplicitata. Nel secondo la monumentalità scenica, la figurazione di grande respiro, dà maggior valore alle immagini proposte e a poco a poco la rigidità delle figure si trasforma in lui in una plasticità sconosciuta ai pittori fiamminghi: l’ispirazione plastica gli venne sicuramente dalla visione delle opere italiane, ma certo la sua determinazione nel proporla in patria, pur con le dovute attenzioni, fu un atto di straordinario coraggio che gli valse plauso e successo presso committenze più libere rispetto a quelle tradizionali. Il tema dell’Annunciazione mostra notevoli diversità. Nella trattazione del tema in Italia c’è una costante di equilibrata e mistica composizione ambientata quasi sempre (se non sempre) in un interno domestico borghese o in un portico prospiciente la casa di Maria[6]. Lo stesso tema trattato dai fiamminghi vede solitamente un’ambientazione architettonica estremamente curata nei minimi dettagli, come tipico di questa scuola pittorica, con il vetusto romanico o con accenni al gotico: questa scelta, presenta anche in altri artisti dell’epoca, sottintendeva all’ambiente ebraico in cui avvenne l’Annunciazione. Verso la fine del XV secolo, all’apice della sua carriera, i dipinti di Memling incarnano non solo l’influenza dell’arte fiamminga sul Rinascimento italiano, ma anche la tendenza inversa. Se la pittura e in particolare la ritrattistica italiana dell’epoca rivelano evidenti suggestioni dell’arte di Memling, parallelamente le composizioni di quest’ultimo integrano motivi ed elementi decorativi di stampo italiano, specialmente per quanto riguarda le raffigurazioni di Maria. La figura della Madonna col Bambino seduta su un trono coperto da un baldacchino – composizione replicata più volte dall’artista, spesso con poche varianti – è posta su uno schienale foderato di fastosi damaschi, che enfatizzano il centro nevralgico della composizione, a ridosso di un gradino su cui è posto un esotico tappeto anatolico. Ai lati si trovano il committente inginocchiato e l’angelo musicante, che porge al bambino una mela, simbolo del peccato originale e quindi della redenzione da parte di Cristo. Il manto rosso di Maria crea un forte fulcro luminoso e coloristico nella scena, che è ripreso in alto dal baldacchino con frange mosse da un venticello, tra due festoni di frutta e fiori che rimandano all’arte norditaliana[7]. La sacra conversazione è inserita in una fastosa architettura all’antica, con un grande arco aperto sul paesaggio e retto da colonne in marmi screziati, sui cui capitelli stanno coppie di putti nudi e altre figure. Ampio respiro hanno i due idilliaci paesaggi che si scorgono ai lati del trono, con un castello e una ponticello su un fiume e una città murata, dove l’artista mise a frutto tutta la conoscenza fiamminga nella resa atmosferica della prospettiva aerea.

PALE D’ALTARE

La seconda e la quinta sezione della mostra evocano il tema delle grandi commissioni per i committenti italiani attivi nelle Fiandre; e gli altari devozionali di committenza privata presentando un numero consistente di lavori mai mostrati prima al pubblico e sottoposti ad indagine scientifica per la prima volta. A testimonianza di una reciproca fascinazione tra le Fiandre e l’Italia, viene presentato una grande Tavola lignea di ignoto maestro napoletano[8]che, nella figura di San Michele, riecheggia in modo patente la figura del Trittico del Giudizio universale di Danzica, in particolare quella dipinta sull’anta posteriore. La 5° sezione è divisa in tre parti: la prima contiene i lavori di Memling, mentre la seconda è centrata sui pittori[9] che a Bruges lavoravano per clienti italiani e proprio in questa parte saranno presenti alcuni tra i lavori più importanti delle collezioni italiane; nella terza parte della sezione alcune opere di Memling che recano i primi segni dell’ornamentistica rinascimentale fatta propria dal mondo nordeuropeo. Tra le opere presenti in questa sezione la Madonna con Bambino ed Angeli dalla National Gallery of Art di Washington e lo straordinario monumentale Trittico di Sant’Andrea della Costa, dipinto per l’omonimo mercante genovese, parzialmente attribuito a Memling e che testimonia gli scambi tra Genova e il Nord. L’impatto dei quadri di Memling in Italia è dimostrato dalle numerose citazioni dei suoi lavori riscontrabili nelle opere di artisti fiorentini, veneziani e di altri centri artistici italiani.

TRITTICI

I dipinti di Memling e, in misura minore, degli artisti di Bruges suoi contemporanei, erano talmente richiesti che i viaggiatori di passaggio ne approfittavano per commissionare dipinti devozionali, ritratti o pale d’altare presso le botteghe della città. Tale fu il caso del mercante fiorentino Paolo Pagagnotti, che commissionò il trittico presente in mostra all’anonimo Maestro della leggenda di sant’Orsola[10]. È probabile che sempre Paolo abbia commissionato per l’influente zio, il vescovo domenicano Benedetto Pagagnotti, anche il trittico esposto a Roma nell’ultima sala della mostra. Se il trittico[11] di Paolo presenta una decorazione tipicamente fiamminga; quello dello zio, realizzato da Memling, presenta motivi distintamente italiani. Ad esempio, ritroviamo a più riprese la composizione della Madonna col Bambino incorniciata da festoni e ghirlande stesi da puttini. Sebbene questi motivi derivassero dall’antico, Memling trasse probabilmente ispirazione dagli artisti del Rinascimento italiano, come Donatello o la Scuola di pittura padovana su cui si formò Andrea Mantegna: nata sostanzialmente nella bottega di Francesco Squarcione, un artista/impresario che accoglieva artisti della provenienza più varia, trasmettendo loro i segreti del mestiere e la passione antiquaria. Nella Madonna col Bambino degli Staatliche Museen di Berlino sono presenti gli elementi tipici che Squarcione trasmise ai suoi allievi: festoni di fiori e frutta, colori intensi e marmorei, linee forti e squadranti le forme. Dal suo insegnamento ciascun allievo sortì esiti diversi, talvolta opposti, dal severo classicismo di Mantegna, alle esasperazioni fantastiche dei cosiddetti “squarcioneschi”, quali Marco Zoppo, Carlo Crivelli e lo Schiavone (Giorgio Çulinoviç). Questi ultimi, pur con le rispettive varianti personali, sono accomunati da una predilezione per colori intensi che fanno somigliare anche gli incarnati e i tessuti a pietre e smalti, per l’uso di elementi antichi, per decorazioni dal sapore erudito e l’applicazione di una prospettiva più intuitiva che scientifica. L’arte di Memling prende spunto da questo clima, ma continuò anche ad ispirare gli artisti italiani e questo non solo dal punto di vista stilistico. Il Trittico di Benedetto Pagagnotti (1480) – eccezionalmente riassemblato[12] in occasione di questa mostra – era conservato nelle stanze private del palazzo del vescovo committente a Firenze. Sebbene fosse destinato al culto privato del suo proprietario, era noto a un pubblico ben più vasto ed ebbe un forte impatto su pittori fiorentini come Filippino Lippi e Fra’ Bartolomeo, che ne copiarono alcuni dettagli, tra cui il mulino ad acqua raffigurato sullo sfondo del pannello centrale.

RITRATTI

Memling è stato un eccellente ritrattista: la terza sezione dell’esposizione dunque è dedicata ai suoi ritratti messi a confronto con altri pittori a lui coevi in Belgio. Le sue opere furono modello per la ritrattistica rinascimentale tanto in Italia quanto nelle Fiandre. Genere in cui Memling seppe perfezionare lo schema campito su uno sfondo di paesaggio, esercitando una fortissima seduzione per tutto il Cinquecento. Quando nel 1465 aprì la sua bottega a Bruges divenne in pochissimo tempo uno dei pittori più richiesti da banchieri e ricchi mercanti che volevano essere ritratti dal maestro dell’arte fiamminga. Attraverso l’utilizzo della pittura ad olio, dell’angolazione di tre quarti e di un’ambientazione naturalistica, i ritratti di Memling sono conosciuti per il loro straordinario realismo. Un volto, uno sguardo e il paesaggio sullo sfondo: gli abiti tratteggiati con cura, l’aria leggera e le piantine sparute, gli occhi puntati dentro quelli di chi guarda: la pittura come la conosciamo, come sappiamo capirla, vederla, leggerne le storie e il tessuto culturale nasce qui. Raffigurava i suoi soggetti davanti a un paesaggio, una composizione che si diffuse subito in Italia e che venne adottata dai più grandi artisti italiani come Botticelli, Perugino e da Vinci. Le mani nella ritrattistica di Memling hanno sempre una valenza duplice: esprimono un sentimento preciso, anche simbolico, ma sono nondimeno il dispositivo che deve stabilire un ponte con lo spettatore, vedi i vari ritratti d’uomo dove la mano gioca sempre il ruolo di “arpione” visivo che aggancia lo spazio dello spettatore avvicinandolo al quadro. Tra le opere presenti in questa sezione ne cito solo 3.

Ritratto d’uomo con una moneta romana (1473-’74)[13] dove un giovane uomo è ritratto di tre quarti, girato a destra, a mezzobusto. Non se ne conosce l’identità, ma non è escluso che fosse uno dei numerosi italiani presenti in quegli anni ad Anversa o a Bruges spesso committenti di opere ai pittori locali: qualcuno ha anche ipotizzato che fosse Bernardo Bembo; altri invece lo identificano col medaglista fiorentino Niccolò di Forzore Spinelli, che morì a Lione, la città dove si trovava il dipinto all’inizio del XIX secolo. Egli si volta verso lo spettatore, ma ne evita il contatto visivo, guardando vacuamente verso destra. Mostra invece con chiarezza una medaglia romana, probabilmente dell’epoca dell’imperatore Nerone, che è una testimonianza dei suoi interessi umanistici. Lo sfondo è un ampio paesaggio lacustre, che si perde, con toni azzurrini, in lontananza: Memling fu uno dei primi artisti ad ambientare i suoi ritratti all’aperto, anziché su un tradizionale fondo scuro. Ha indosso una mantella nera e un berretto dello stesso colore, con una camicia bianca che sporge dal collo; il volto è molto intenso, con un’attenzione millimetrica alla resa dei dettagli. I capelli sono ricci e cadenti sulle orecchie, gli occhi castani dal taglio piccolo, il naso robusto dritto, le labbra sottili, il mento con fossetta. Tipico dell’area fiamminga è il dettaglio del parapetto su cui l’uomo fa finta di poggiare una mano che tiene una lettera, quasi a voler sfondare la barriera tra il dipinto e lo spettatore, nonché a giustificare il taglio a metà, come se si affacciasse. Ritratto di ignoto con collo di pelliccia (1475 circa)[14] nel quadro il giovane uomo è ritratto di tre quarti, girato a sinistra, a mezzobusto, con una mano poggiata su un parapetto che coincide con il bordo inferiore della cornice, uno stratagemma spesso adottato sia per sfondare lo spazio pittorico verso lo spettatore sia per giustificare il taglio a metà della figura. L’aspetto del personaggio fa pensare a un membro della ricca comunità fiorentina locale, a giudicare dai tratti fisiognomici mediterranei. L’abbigliamento testimonia l’alto status sociale dell’effigiato: indossa un mantello con collo e bordi delle maniche in pelliccia maculata, di lince siberiana, e alla mano, delicatamente dipinta con grande minuzia, ha infilati due anelli d’oro con pietre. Lo sfondo paesistico, novità introdotta dallo stesso Memling, mostra un avvallamento che si apre su una radura con una foresta all’orizzonte, con due alberelli fronzuti ai lati che incorniciano la testa. Ritratto di donna, la dama è ritratta di tre quarti, girata a sinistra, a mezzobusto, su uno sfondo scuro – che denota l’arcaicità dell’opera nella produzione di Memling. Indossa un lungo cappello a tronco di cono con un velo trasparente attaccato, che ricade sul viso con dei lembi che coprono completamente i capelli; la fronte è rasata per creare un’attaccatura altissima dei capelli, secondo una moda femminile che andava in voga un pò in tutta Europa. Indossa un abito foderato di pelliccia, adatto al clima nordico, come si vede nell’ampia scollatura. Il corpo è leggermente sottodimensionato rispetto alla testa, come era tipico dei ritratti dell’epoca, riscontrabile anche nelle opere di Rogier van der Weyden (come il Ritratto di giovane donna) o di Petrus Christus (Ritratto di fanciulla). A conclusione di questa sezione viene presentato il monumentale Trittico per la famiglia Moreel proveniente dal Groeningemuseum di Bruges, dove le figure dei donatori dipinte sugli sportelli laterali mettono a frutto le straordinarie doti di ritrattista del maestro tedesco. Datato 1484 è conservato a Bruges nel Groeningemuseum ed è così diviso: Santi Cristoforo, Egidio e Mauro nel pannello centrale; San Guglielmo di Malavalle con Willem Moreel e i suoi figli nello scomparto interno sinistro; Santa Barbara con Barbara Vlandenbergh e le sue figlie nello scomparto interno destro; San Giovanni Battista e san Giorgio nei 2 scomparti laterali esterni.

PITTURA DI NARRAZIONE

La quarta sezione è focalizzata sulla pittura di narrazione di Memling: il pittore di Bruges è stato anticipatore di questo genere creando moltissime opere affascinanti che accrebbero la stima nei suoi confronti. Fra tutte laPassione di Cristo (1470-’71) conservata a Torino nella Galleria Sabauda. L’opera, commissionata da Tommaso Portinari ed entrata nella collezione dei Medici, fece sì che molti pittori italiani cominciassero a trattare la pittura narrativa in modo completamente nuovo. Il primo a citare la piccola tavola è Giorgio Vasari, che scrisse nella prima edizione del 1550 delle Vite come una tavola del Memling era a Careggi, nella «villa fuora di Fiorenza della Illustrissima casa de’ Medici», precisando nell’edizione successiva del 1558 che la tavola era di proprietà del duca Cosimo I. Questi la donò a papa Pio V che a sua volta la fece trasferire nel convento dei domenicani di Bosco Marengo da dove pervenne, nel 1832, nella neonata Galleria Sabauda di Torino. I committenti del dipinto, rappresentati nelle due estremità inferiori della tavola, sono stati riconosciuti, su base iconografica, in Maria e Tommaso Portinari, funzionario dei Medici, i quali si sposarono nel 1470 ed ebbero la prima figlia nel 1471: poiché nessun figlio della coppia è rappresentato nel dipinto, la data di composizione è stata fissata al 1471. La tavola mostra un caleidoscopico microcosmo cittadino in cui, grazie al punto di vista rialzato, si colgono, concatenati da un ritmo serrato, tutti gli episodi della Passione di Cristo: dalla sua entrata a Gerusalemme, in alto a sinistra, fino alla crocifissione, in alto a destra e, all’estremità, dalla deposizione fino all’apparizione sul lago di Tiberiade. La città idealizzata di Gerusalemme mostra un profilo di torri e alte guglie che rimandano allo ‘skyline’ delle città commerciali fiamminghe. Il pittore usò tutti gli spazi a disposizione del dipinto, in primo piano come nello sfondo paesaggistico, per rappresentare le numerose scene, mantenendo però sempre un’agevole leggibilità e coerenza. Il contesto realistico dopotutto si rifaceva a precisi suggerimenti dottrinali che incitavano a immaginare gli episodi evangelici nel contesto quotidiano della propria città. In alto a sinistra, come già accennato, ha inizio la narrazione, con l’Entrata in Gerusalemme, seguita, poco più a destra, dalla Cacciata dei mercanti dal tempio, ambientata in un portichetto su una piazzetta. Poco sotto si vede il Tradimento di Giuda e, tramite la parete aperta di un edificio, l’Ultima Cena e più in basso, in primo piano, si svolgono l’Orazione nel Getsemani e la Cattura di Cristo, con la scena in cui Pietro mutila un soldato tagliandogli un orecchio. Si prosegue poco più in alto, nella piazza centrale, con Gesù portato davanti a Pilato, la Erezione della Croce e il Rinnegamento di Pietro, ambientato davanti a un edificio in cui sono affacciati due spettatori, con un gallo che solitario sta appollaiato su una finestra. Al centro esatto, sotto l’arco di un maestoso edificio, ha poi luogo la Flagellazione con Gesù legato alla colonna e denudato della veste che si trova abbandonata in terra. Seguono a destra il Cristo deriso, sempre in un edificio, la seconda Interrogazione di Pilato in un edificio stretto poco più a destra, e la Presentazione di Gesù alla folla che decide di far liberare Barabba (forse l’uomo in penombra): particolarmente vivaci sono i gesti degli astanti che manifestano, sollevando e incrociando le braccia, la negazione della grazia a Gesù. Inizia quindi la Via Crucis, con il corteo di persone che esce dalle mura cittadine e la Caduta di Cristo in primo piano a destra, assistito da Simone di Cirene. Si salta quindi allo sfondo, in alto a sinistra, dove Cristo è inchiodato alla croce e poi crocifisso e deposto: in queste scene si raggiunge un culmine drammatico, raramente eguagliato, in seguito, dal’artista, più a suo agio nelle auree incantate di fiaba. All’’estrema destra, al centro, Gesù sconfigge i demoni durante la discesa al Limbo. Un uomo che tiene per mano i figli, sulla strada della via Crucis, guarda verso il Cristo risorto, legando così le due parti del dipinto. Sulla collina seguono poi la Deposizione nel sepolcro e la Resurrezione, mentre poco sopra è raffigurato il Noli me tangere e più lontano ancora l’Incontro sulla via per Emmaus. Infine, sul lago dello sfondo, che tanto dovette influenzare Perugino, si vede l’apparizione agli apostoli sul lago di Tiberiade. In questa opera sono presenti tutti i filoni artistici che influenzarono Memling: dall’asciuttezza di Rogier van der Weyden, alla ricchezza cromatica di Dieric Bouts. L’osservatore resta rapito sia dagli squarci paesaggistici, sia dall’umanità riprodotta con estrema minuzia, sia nelle azioni che nei dettagli delle vesti, delle armature, degli attrezzi da lavoro. Estrema è la cura degli effetti luminosi, come dimostra la diversa illuminazione della città: chiara e immersa nei bagliori del mattino a destra, cupa e notturna a sinistra, in modo anche da rappresentare l’evoluzione delle scene come un passaggio dal buio alla luce, dallo sconforto alla speranza.

INFLUENZA SULL’ARTE ITALIANA

I gusti cosmopoliti dei committenti di Memling lo incoraggiarono ad arricchire la sua estetica relativamente classica con formule innovative. Le numerose copie di cui furono oggetto i quadri di Memling testimoniano di quanti seguaci e ammiratori egli avesse non solo a Bruges, ma anche altrove in Europa: ad esempio, la copia fedele delCristo Benedicente di Memling, per mano di Domenico Ghirlandaio, sembra indicare che le repliche dei suoi lavori erano molto richieste persino in un centro artistico importante come Firenze. Ciò che il Ghirlandaio tenta di emulare in questo dipinto non è solo la tecnica pittorica di Memling, ma le qualità enfatiche dei Primitivi fiamminghi in generale.

FASE TARDA

Nel pieno dell’indebolimento delle Fiandre, rispetto alla precedente, sfolgorante stagione commerciale e artistica, Memling si assestò su uno stile cristallizzato, fatto di figure rassicuranti, estranee agli accenti drammatici e disposte in ambienti sempre simmetrici e ordinati. Nell’ultima stagione dell’attività dell’artista, dalla fine degli anni ottanta alla morte nel 1494, rielaborò gli elementi della grande tradizione locale, creando un linguaggio armonioso e misurato. I registri dell’epoca attestano la presenza di due apprendisti con lo stesso cognome di Memling, ma la loro identità e la loro opera rimane sconosciuta, come le circostanze di morte del pittore, che lasciò una cospicua eredità. Memling fu per molti aspetti il maestro di Bruges per antonomasia. La sua estesa influenza artistica e la sua sensibilità ai gusti dei committenti sono alla base della produzione di opere che, oltre alla loro bellezza, assumono un rilievo specifico nella storia dell’arte. Memling, infatti, segnò profondamente l’arte del Cinquecento e la pittura di Bruges per almeno una generazione dopo di lui, conquistando un posto d’onore nel novero dei cosiddetti ‘primitivi fiamminghi’.

Con questa esposizione ambiziosa le Scuderie del Quirinale hanno offerto per la prima volta al pubblico italiano l’occasione di una grande rassegna dedicata a questo grandioso eccelso artista che fu Hans Memling, che nella seconda metà del Quattrocento, divenne il pittore più importante di Bruges. Una monografica mai prima realizzata nel nostro Paese che cerca di mettere a fuoco le grandi qualità di questo protagonista assoluto del Rinascimento fiammingo, prendendo in esame ogni aspetto della sua opera.

Concludo questo articolo però con un’opera del maestro di Memling – Rogier van der Weyden. Opera che – a mio modestissimo parere – ritengo il più bel ritratto della storia dell’arte …e non me ne vogliano gli artisti italiani!

Rogier van der Weyden, Ritratto di donna. Non si conosce l’originaria collocazione del dipinto né l’identità dell’effigiata, che alcuni hanno ipotizzato possa essere Maria di Valengin, figlia illegittima del protettore di van der Weyden Filippo il Buono, duca di Borgogna. Agli inizi del XIX secolo l’opera si trovava probabilmente nelle collezioni di Leopold Friedrich Franz, principe di Anhalt, alla Gotisches Haus, di Wörlitz, vicino Dessau. Passato ai suoi eredi, nel 1925 venne immesso nel mercato d’arte, finendo prima alla Bachstitz Gallery de L’Aja e poi ai Duveen Brothers, che lo vendettero ad Andrew Mellon nel 1926. La collezione Mellon fu poi il nucleo originario della National Gallery a Washington DC fin dalla sua fondazione nel 1937. Secondo la tipologia tipica della pittura fiamminga, il ritratto è presentato di tre quarti, su uno sfondo scuro e neutro. La donna è ritratta a mezza figura, con le mani appoggiate sul bordo inferiore del dipinto, come se vi si trovasse una balaustra. I dettagli, trattati come al solito con grande meticolosità, la presentano come una dama della nobiltà, vestita di un abito scuro ravvivato dalla cinta rossa con una ricca fibbia. In testa un velo semitrasparente, fermato da spilli, copre la complessa acconciatura, con la rasatura alta della fronte tipica della moda del XV secolo, e dà alla donna un aspetto vagamente monacale con i due lembi rettangolari che ricadono sulle spalle, sui quali sono visibili le pieghe della stiratura. Un velo di materiale simile copre la profonda scollatura. Il volto è curatissimo nella fisionomia e lascia intravedere anche i caratteri psicologici della donna, che appare composta, nobile ed elegante, sfuggendo con lo sguardo il contatto con lo spettatore. Straordinaria è la descrizione delle mani affusolate, di grande bellezza formale, sobriamente decorate da due semplici anelli.

[1] In realtà non ci sono giunti documenti che attestino con certezza l’alunnato presso il van der Weyden. È un ipotesi che si può far risalire al VI secolo.

[2] Firenze, Galleria degli Uffizi

[3] Crocifissione con Jan Crabbe, Vicenza, Musei Civici, Pinacoteca di Palazzo Chiericati (scomparto centrale).

[4] Anna Willemzoon con sant’Anna – Willem de Winter con san Guglielmo di Malavalle (scomparto centrale e scomparti laterali interni), New York, Pierpont Morgan Library and Museum.

[5] Annunciazione, (scomparti laterali esterni), Bruges, Groeningemuseum.

[6] Il Vangelo secondo Matteo (1, 18-25) parla solo dell’annuncio a Giuseppe. Il Vangelo secondo Luca (1, 26-37) dice solo “L’angelo Gabriele…entrando da lei” . Nel Protovangelo di Giacomo (II secolo) Maria sente una voce mentre è ad attingere acqua, voce che si ripete – una volta tornata a casa – mentre sta filando seduta sullo scanno con l’apparizione dell’angelo.

[7] Scuola pittorica di Padova nasce sostanzialmente nella bottega di Francesco Squarcione, un artista/impresario che accoglieva artisti della provenienza più varia, trasmettendo loro i segreti del mestiere e la passione antiquaria. Nella Madonna col Bambino degli Staatliche Museen di Berlino sono presenti gli elementi tipici che trasmise ai suoi allievi: festoni di fiori e frutta, colori intensi e marmorei, linee forti e squadranti le forme. Dal suo insegnamento ciascun allievo sortì esiti diversi, talvolta opposti, dal severo classicismo di Mantegna, alle esasperazioni fantastiche dei cosiddetti “squarcioneschi”, quali Marco Zoppo, Carlo Crivelli e lo Schiavone (Giorgio Çulinoviç). Questi ultimi, pur con le rispettive varianti personali, sono accomunati da una predilezione per colori intensi che fanno somigliare anche gli incarnati e i tessuti a pietre e smalti, per l’uso di elementi antichi, per decorazioni dal sapore erudito e l’applicazione di una prospettiva più intuitiva che scientifica. Alcuni di loro, come Zoppo e Schiavone, furono anche influenzati dal linguaggio pierfrancescano, arrivato a Padova intorno agli anni cinquanta tramite il cantiere della cappella Ovetari.

[8] Maestro napoletano, San Michele arcangelo con i santi Girolamo e Giacomo della Marca e due donatori, 1490-1500, Napoli, Museo di Capodimonte.

[9] Seguace di Hans Memling, Hugo van der Goes, Maestro della Leggenda di sant’Orsola.

[10] Il Maestro della Leggenda di sant’Orsola (… – …) è stato un pittore anonimo fiammingo attivo nell’ultimo quarto del XV secolo.

L’anonimo maestro fiammingo prende il nome da due ante di un altare con otto Episodi della vita di sant’Orsola, originariamente a Bruges, nel convento delle Suore Nere. Viene spesso chiamato anche Maestro della Leggenda di sant’Orsola di Bruges, per non confonderlo col tedesco Maestro della Leggenda di sant’Orsola di Colonia. Il suo stile denota influenze da Rogier van der Weyden, Hans Memling e Hugo van der Goes.

[11] Maestro della Leggenda di Sant’Orsola, Trittico di Paolo Pagagnotti (1480). Madonna in trono col Bambino e angeli (scomparto centrale) a Cherbourg-Octeville, Musée Thomas-Henri; mentre Paolo Pagagnotti e San Paolo,Cristo appare a sua madre (scomparti laterali interni) a New York, The Metropolitan Museum of Art, The Friedsam Collection.

[12] Madonna in trono col Bambino e due angeli (scomparto centrale), Firenze, Uffizi – San Giovanni Battista; San Lorenzo (scomparti laterali), Londra, National Gallery

[13] Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten. Forse Bernardo Bembo?

[14] Firenze, Galleria degli Uffizi.

 
 
 

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