"Arrivano le feste!!! Ma quali?" (Calisti, Flavia)
- Calisti, Flavia
- 16 gen 2015
- Tempo di lettura: 6 min
“Le feste sono alle porte”, forse non lo sapete ma anche gli antichi Romani, verso la metà di Dicembre, iniziavano ad avere lo stesso pensiero. Certo non celebravano il Natale, festività introdotta all’epoca di Costantino, ma qualcosa di molto, molto simile. Il 17 Dicembre si festeggiavano infatti a Roma i Saturnalia, le feste di Saturno, dio agrario legato forse anche nel nome al satus, la semina, presto identificato con il greco Crono. Nella mitologia greca gli dèi pre-olimpici, quelli per capirci che precedevano la nascita del buon Zeus, erano divinità dai modi assai poco urbani. Crono si era infatti visto costretto ad evirare il padre Urano, che aveva la cattiva abitudine di far partorire alla moglie Gaia i suoi figli per poi ricacciarli nelle profondità della terra.
Per evitare però il contrappasso, una volta detronizzato il padre, Crono aveva preso l’uso di divorare tutti i figli che la moglie Rea gli dava, finché la poverina, stanca di vedersi mangiar la prole, sostituì l’ultimo nato con una pietra. Fu così che Zeus scampò ad un triste destino, riuscì a far rivomitare al padre i poveri fratelli e sorelle ed a cacciarlo in un esilio dorato, che per i Greci corrispondeva ad un lieto soggiorno nelle Isole dei Beati, per i Romani ad una venuta nel Latium (proprio da lui verrebbe tale nome, da latere, il suo nascondersi), dove il dio sarebbe stato accolto dal dio-re Giano, che con lui – denominato ormai Saturno – decise di dividere il regno. “E che c’entrano le feste di Dicembre?” immagino starete ormai pensando. C’entrano, c’entrano, perché Saturno regnò benevolmente sul sito della futura Roma, dal Mons Saturnus (il colle che prenderà poi il nome di Campidoglio), e i suoi tempi saranno ricordati come una vera età dell’oro, i Saturnia tempora.
Per celebrare la felicità di questo, seppur momentaneo, ritorno ai bei tempi andati, i Romani si scambiavano doni. In tempi in cui il consumismo era ancora di là da venire bastavano piccole cose: noci, fazzoletti, olive o stuzzicadenti. Abbiamo anche l’elenco del fortunato bottino realizzato da Sabello, che con tutti si vantava di aver ricevuto: mezzo moggio di farro, fave macinate, una libbra e mezzo di incenso e di pepe, luganighe e trippa falisca, un buon vino siriano, un vaso di fichi canditi e cipolle dalla Libia, lumache e formaggio, olive ascolane, un servizio da tavola da sette e un vaso spagnolo e per finire un tovagliolo bordato di porpora[1]. Ce lo racconta il buon Marziale, che ispirato dalla goliardia della festa, regalava agli amici epigrammi pieni di ironia e facezie, che ci restituiscono l’atmosfera che in quel Natale prima del Natale si respirava.
All’amico Umbro che gli ha donato tutto ciò che aveva ricevuto nei cinque giorni in cui la festa si era via via dilatata in età imperiale, facendoli portare da otto schiavi siriani, Marziale fa notare che sarebbe stato molto più pratico per entrambi che uno schiavetto, senza faticare gli avesse portato l’equivalente assai più leggero in argento[2].
Quando non è occupato a lamentarsi per i doni ricevuti, Marziale recrimina per quelli che non ha ottenuto. Ad un amico che gli fa notare come forse Atenagora sia triste, visto che non gli ha ancora fatto alcun pensiero per la festa, Marziale risponde “Se Atenagora sia davvero triste, questo lo vedrò da me, / Faustino: di certo triste Atenagora ha fatto diventare me”[3]. A volte poi il poeta si lamenta di non aver visto ricambiata la sua generosità, a un anonimo (forse ex) amico rimprovera come neanche un fazzoletto o un cartoccio di olive gli siano giunte “per poter dire che, di me, non ti sei dimenticato”[4]. Anche Galla sembra essersi dimenticata di lui, visto che “non mi hai mandato i regalini – commenta -, nemmeno più piccoli di quelli che una volta mi mandavi”. Ma la vendetta è dietro l’angolo: “Passi pure così il mio dicembre:/ ma tu sai bene che tra poco verranno/ i tuoi Saturnali, il primo di marzo[5]:/ allora ti renderò, Galla, quello che mi hai dato”[6].
Con un altro amico Marziale si giustifica per avergli donato non le usuali strenne, ma i suoi libri, commentando “detesto l’arte del donare, ingannatrice e maligna:/ i doni sono come gli ami: chi non sa che il pesce goloso/ viene ingannato dalla mosca che divora?/ Quando non dona nulla a un suo amico facoltoso/ o Quinziano, un povero è davvero generoso”[7] (teoria interessante, certo, tenetela a mente durante le feste…). Ad un altro amico, Varrone, Marziale dona i suoi componimenti; l’epigramma è quanto mai interessante perché il Poeta invita l’amico a leggerli ed a non farsi distrarre dalle attrazioni del periodo: mimi, recite di poesie e gioco d’azzardo[8]. Il gioco dei dadi era normalmente vietato a Roma, durante i Saturnalia però il divieto veniva momentaneamente sospeso. Questa anomalia nel comportamento festivo è in realtà funzionale e serve a sottrarre un momento particolarmente importante della vita della comunità dalla contingenza del tempo profano. Come abbiamo detto Saturno è legato ad un momento fondamentale nella vita dell’Antica Roma, la semina (non a caso la celebrazione dei Saturnalia si trova incastonata tra altre due feste a carattere agrario: i Consualia del 15 e gli Opalia del 19 Dicembre). Il tempo della festa è e deve essere quindi un tempo diverso, un tempo come quello del mito, che si caratterizza proprio per la sua diversità rispetto al tempo attuale. Lo evidenzia un altro aspetto dei Saturnalia. In essi si rievoca la beatitudine di quei mitici primordi, di quel tempo di Saturno in cui l’uguaglianza ancora regnava tra gli uomini. Per questo durante le celebrazioni in onore del dio gli schiavi potevano indossare il pileus, il berretto che normalmente potevano sfoggiare solo nel giorno sperato della loro possibile liberazione (manumissio dicevano i Romani). Il dio stesso, che nel suo antichissimo tempio alle pendici del Campidoglio, risalente ai primi anni della fondazione stessa della Repubblica, era rappresentato con i piedi stretti la lacci di lana, veniva in tale giorno “liberato”. Gli schiavi potevano dunque vivere da liberi e banchettare[9], alcune dicono addirittura che potessero essere serviti dai loro stessi padroni. Il rovesciamento dell’ordine, la sospensione delle regole, sono tutti elementi che ricordano non tanto il Natale, quanto il Carnevale. Non vi stupirete dunque di sapere che veniva eletto anche un Saturnalicius Princeps[10], figura che ricorda il Re del Carnevale….
Dunque l’uso di scambiarci regali risale a ben prima della leggenda riguardante il buon vecchio Nicola portatore di doni, ma le somiglianze con il nostro modo di festeggiare non finiscono qui. I Saturnalia, dai tempi di Cesare a quelli di Domiziano, videro prolungarsi la loro durata fino al 23 dicembre. Aureliano introdusse poi, alla loro fine, un’altra festa assai gradita, il dies Natalis Solis Invicti, una festa dedicata al Sole, che in tale data si vide dedicare un grande tempio sul Quirinale ed un collegio di pontefici. Era il 274 d.C. Il culto del Sole era stato introdotto a Roma da Eliogabalo nel 218 d.C. e si diffuse rapidamente, specialmente tra le truppe, che lo identificarono con un dio del pantheon indoiranico di nome Mitra. Vi era però un altro Dio che in quegli anni vedeva affermare sempre più il suo culto, “un sole” che doveva sorgere “per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre”[11]. Anche per lui si cercava di definire un Dies Natalis, Clemente Alessandrino si lamentava di come molti non si contentassero “di sapere in che anno è nato il Signore, ma con curiosità eccessiva vanno a cercarne anche il giorno”[12]. Ebbene quel giorno fu identificato proprio con il 25 dicembre. È difficile dire se per la vicinanza con un giorno sacralmente rilevante in tutte le religioni del mondo, ovvero il solstizio di inverno, il periodo in cui il Sole riprende il suo vigore e segna la vittoria della luce sulle tenebre o proprio per la competizione che vide contrapporre a lungo i due culti, mitraico e cristiano. Certo è che le somiglianze sono molte e le influenze reciproche: i due titolari del culto rappresentati come giovani imberbi, riti di battesimo e di condivisione del pasto e molti altri aspetti che sarebbe impossibile illustrare in poche righe. Per alcuni la scelta fu dettata dal desiderio di cancellare dal tempo il ricordo del dio Mitra, così come dallo spazio era avvenuto seppellendo molti mitrei sotto altrettante chiese (basti pensare a Roma a S. Clemente, S. Prisca, S. Stefano Rotondo…). Renan sentenziava che “se un fatale incidente avesse impedito il trionfo del Cristianesimo, il mondo sarebbe appartenuto a Mitra”. Certo è che qualcosa di Mitra, Saturno e del tempo antico in cui di divinità si parlava rigorosamente al plurale, resta qualcosa ancor oggi, quindi Auguri a tutti (scegliete voi se per Natale o per Saturno e Mitra!).
Flavia Calisti



Comments