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Istanbul
Edizione 2014
Stefania Laurenti
Myriam Trevisan
Bisanzio o Costantinopoli.
Quanti nomi per una sola città!
Cosa dire di questa città che non sia stato già detto? Il breve soggiorno in questo luogo di grande fascino per certi suoi monumenti famosi, ma anche per altri luoghi particolari e meno conosciuti offre numerosi spunti che riaffiorano dalla sua lunga storia: dalla greca Bisanzio alla conquista romana che vide con Costantino e Giustiniano la sua trasformazione in metropoli e città imperiale resa ancora più grande dalle successive dinastie greche (Macedoni, Paleologi, Comneni) fino ad arrivare ad essere capitale dell’Impero ottomano e a godere di un periodo d’oro sotto Solimano il Magnifico. E che dire della letteratura turca nata nel Medioevo dall’incontro fra l’Islam, le sue principali lingue di cultura (arabo e persiano) e le loro tradizioni letterarie; della prima redazione scritta di una grande saga epica in prosa nel XV secolo; o nella contiguità con la cultura letteraria persiana (appartenente dal XVI secolo è un turco, Sudi, considerato il massimo interprete e commentatore di Hafez, il "Petrarca" della lirica persiana classica). In questa letteratura gli ambienti in cui poeti e scrittori poterono dispiegare così il loro talento, sono riconducibili essenzialmente a quelli cortigiani, in particolare le corti ottomane, e a quelli delle confraternite mistiche (conventi dervisci). L’influenza persiana scema nel corso dell’Ottocento, imponendosi correnti filo-occidentali e europeizzanti, e si arresta dopo la fine della I guerra mondiale con l’avvento della Repubblica e la riforma della lingua (abbandono alfabeto arabo a favore di un alfabeto latino). Questo evento insieme alla svolta laica e anticlericale, determinò un trauma nella storia culturale del Paese. Il problema della conciliazione delle ‘due anime’ della Turchia contemporanea – quella volta all’Europa e alla modernità e quella che guarda nostalgica al passato islamico e pre-repubblicano – latente per decenni, è tornato prepotentemente alla ribalta a partire dagli anni ottanta del XX secolo con il revival dell’Islamismo militante. Queste tematiche sono ben presenti in numerosi autori contemporanei come Nedim Gürsel, ma soprattutto in Orhan Pamuk (Premio Nobel 2006) che è con il poeta Nazim Hikmet (m. 1963), forse il più famoso e tradotto scrittore turco contemporaneo e il poeta che forse più esplicitamente ha colto la natura ‘femminile’ di Istanbul
“ti guarderei, gioia, ti guarderei stupito
come sei bella, Dio mio, come sei bella
l’aria e l’acqua d’Istanbul nel tuo sorriso
la voluttà della mia città nel tuo sguardo
o mia sultana, o mia signora, se tu lo permettessi
e se il tuo schiavo Nazim Hikmet l’osasse
sarebbe come se respirasse e baciasse
Istanbul sulla tua guancia”.
Ricordi di viaggio
E poi ci sono i percorsi e i pensieri dei “turisti d’eccezione”: Flaubert, Apollinaire, Melville, Chateaubriand e tanti altri che Myriam meravigliosamente ci ha presentato nelle sue pause di lettura; e per ultimo ci siamo fatti consolare dalle riflessioni di Pamuk che ha dedicato alla sua città un libro autobiografico e dalle parole delle donne che ci offrono il loro punto di vista. Oggi Istanbul è una metropoli fra Oriente e Occidente e questa differenza fra costa asiatica e costa europea è percepibile e visibile. Immediatamente la prima sera appena arrivati io e Myriam ci siamo tuffate, con alcuni componenti del gruppo, nella notte turca: il quartiere prescelto è stato Beyoglu – meta popolare e turistica e buono per i numerosi locali aperti e per la vita notturna – dove a lasciare il segno sono i volti, quelle persone capaci di accoglierti offrendoti un tavolo o un tè e raccontandosi anche solo con un gesto o con un sorriso. Che resta il migliore biglietto da visita! Ed è così che ci accoglie la Nova Roma. La mattina successiva (26 aprile) la prima visita ci ha condotto alla magnifica, magniloquente, ridondante e luccicante residenza del Topkapi – basti pensare ai “brillocchi” presenti nel suo Tesoro: dai candelabri di oro massiccio con incastonati 6666 diamanti al trono ricoperto di lamine d’oro, dal pugnale con smalti diamanti e 3 enormi smeraldi famoso perché protagonista insieme agli esseri umani del film del 1964 di Jules Dassin “Topkapi” fino al pezzo più importante della collezione, lo spoonmaker (Diamante del fabbricante o mercante di cucchiai) di ben 86 carati e circondato da 49 brillanti. Topkapi letteralmente significa ‘Porta del Cannone’: è qui che i Sultani risiedevano sino alla metà dell’Ottocento, ed è composto da una serie di edifici, giardini e chioschi situati sul Promontorio che divide il Corno d’Oro e il Mar di Marmara. E fra profumo di tulipani e stanze segrete dell’harem dall’alto dell’acropoli dell’antica Bisanzio ci è apparsa Istanbul. Città velata dalla nebbia e insieme impudica, città da amare, che al tempo stesso attira, respinge e fa impazzire. Subito dopo ci siamo spostati verso la “meraviglia delle meraviglie”, la “gloria dell’impero bizantino” Hagia Sophia (AyaSofya) – famosa per l’audace e poderosa struttura architettonica purtroppo abbastanza sporca e poco curata, ma nonostante ciò bellissima per la ricca decorazione musiva interna ancora sopravvissuta; poi nella vasta e buia cisterna di Yerebatan Sarayı – enorme spazio sotterraneo le cui volte sono sorrette da dodici file di 28 colonne alte 9 m. – quasi una discesa agli Inferi. Ritornati alla luce verso Piazza Sultanahmet, oggi una zona pedonale bella per pic-nic e riunioni, ci siamo trovati davanti alla Moschea Blu, ma anche ai resti romani dell’Ippodromo, realizzato sul modello del Circo Massimo di Roma, e in particolar modo alla base dell’Obelisco di Teodosio ancora perfettamente leggibile. Alla fine stanchi ma soddisfatti siamo rientrati in hotel per prepararci alla lunga sera – quella della spettacolare gita in barca sul Bosforo con cena a bordo. Il modo migliore per apprezzare la sponda occidentale e la sponda orientale del Bosforo è quella di imbarcarsi su uno dei tanti traghetti che solcano le sue azzurre acque. Va provata: con il vento in faccia, i tempi rallentati e qualche ora a disposizione avrete modo di osservare la costa di Istanbul e di ammirare le costruzioni sulle rive, i palazzi e le residenze da una prospettiva assolutamente particolare. Il 27 aprile siamo partiti per visitare una zona un po’ decentrata, fuori dalle rotte più turistiche ma per la quale valeva la pena il viaggio: un quartiere tipicamente ottomano con case di legno e anche molto interessante per passeggiare. È Chora e c’è la chiesa di San Salvatore, poi Moschea e oggi Museo di Kariye Camii. Il suo interno è spettacolare, una profusione di mosaici a fondo oro sulle pareti, sui soffitti dell’esonartece e del nartece, una teoria di affreschi bizantini molto belli nel parecclesion. Ci sono affreschi che ti catturano, mosaici con sfondo oro talmente vivi che rimani rapito dalla bellezza che sprigionano. Vi assicuro che ciò che ho visto – memore delle magnifiche lezioni universitarie della professoressa di Arte bizantina Fernanda de’ Maffei – all’interno non lo dimenticherete. Ho ancora negli occhi lo scintillio delle tessere dorate che dai mosaici brillano come specchi e la mano potente del Cristo che nell’Anastasis trascina fuori dalle tombe i morti. Una vera meraviglia per gli amanti dell’arte bizantina e non solo! Il Museo si trova non lontano dalle mura terrestri dette teodosiane (imperatore Teodosio II): imponenti per la loro struttura e interessanti dal punto di vista dell’architettura militare. Alla fine ci siamo persi fra strade ripide in discesa o in salita e nelle fantastiche vie dei dintorni dove si possono trovare le antiche case di legno e una fervente vita popolare. Tutto il quartiere intorno è molto bello! Dopo un breve tragitto in taxi, ad un certo punto è apparsa davanti ai nostri occhi la Moschea di Solimano, da molti considerata una delle più belle e sontuose costruzioni cittadine e secondo i poeti turchi “il suo splendore e la sua gioia”. Le visite si sono susseguite senza sosta nel fresco e nel silenzio della mattina e poi nel caos di macchine e uomini del pomeriggio fra una fila appena accennata e una velocemente superata dalla proposta di una scorciatoia “più facile”. Ogni visita è stata scandita dai racconti dei letterati che dipinsero Costantinopoli nelle loro pagine, raccontando di odalische e sultani, passioni e potere, hammam profumati e giardini coloratissimi. È sorprendente come per i viaggiatori occidentali Istanbul (o "Stambul", come la chiamano) sia soprattutto una città al femminile. Città dalla seduzione misteriosa e proibita, sensuale, oggetto di fantasie erotiche, schiva e al tempo stesso disponibile. Qui «non c'è altro piacere che la dissipazione, altra infelicità che la morte. Le tristi note di un mandolino escono, talvolta, dal fondo di un caffè, e voi scorgete dei ragazzi sventurati eseguire danze oltraggiose davanti a delle specie di scimmie sedute in tondo ai tavolini» – annota François-René de Chateaubriand (1768-1848). «Solo i nostri vizi hanno trovato in loro degli adepti entusiasti. Galata... non è forse il tempio dei cabaret e delle case chiuse?» – osserva Alexandre Dumas (1802-’70). Per Herman Melville (1819-’91) entrare in Istanbul è «proprio come perdersi in una foresta. Un perfetto labirinto. Stretto. Chiuso, serrato». Gustave Flaubert (1821-’80), mettendo pudicamente le mani avanti («ci siamo passati e niente più») racconta dei «bordelli per finocchi». È lì che Flaubert sceglie e preferisce i bordelli e «rimugina Madame Bovary». Così come di ballerine che «eseguivano, alla faccia di Armeni, Greci e Turchi, un can can dei più sfrenati», nonché, con molto meno pudore, della sua esperienza «con una ragazza giovanissima, di sedici o diciassette anni». Maurice Barrès (1862-1923) ne parla come di «una riserva d’angoscia e di piaceri». È forse qui che Guillaume Apollinaire 81880-1918), seduto ai tavolini di un caffè, nei giorni dell’occupazione alleata, ripensa Les Onze Mille Verges. Di «notti d'agosto organizzate per essere vissute vegliando», parla invece la principessa Marthe Lucile Bibesco (1886-1973) nei suoi Gli otto paradisi. Le Corbusier (1887-1965) che ama profondamente Santa Sofia ed è colpito dal «flusso impuro» nelle strade di Stambul, dove «le vie stesse si prostituiscono, rinnegando secoli di vita turca; si vendono ai cupidi mercanti». All’aspetto che turba i loro sensi non sono interessati solo i moderni, i romantici ottocenteschi. Il bizantino Niceta Coniata (1155-1217) si dilungava sulle prodezze sessuali di Andronico Comneno. Il turco Tursun Beg (1420-’91), procede, subito dopo la conquista (1453), a un catalogo delle bellezze di Costantinopoli, «adolescenti greci e franchi, russi, ungheresi, cinesi, khotanesi» e «fanciulle simili a stelle, dalle natiche di rosa selvatica, dalle guance di gelsomino, dai capelli di violetta, dalla statura di cipresso, dal volto si sole, dalla fronte di luna». Già nel 1582 Jean Palerne (1557-’92) è colpito dalle donne di Pera «così disinibite e intriganti che da loro è nato un proverbio che circola tra gli Italiani: “Che se nasce greco, nasce turco; se nasce greca nasce puttana”». Da non trascurare l’avvertimento che, nell’antologia, viene proprio da una viaggiatrice del Settecento, Lady Mary Wortley Montagu (1689-1762): «Non sono in vena di copiare ciò che è già stato scritto tanto spesso... Il mio genuino spirito di contraddizione femminile mi rende più incline a dirvi la falsità di gran parte di quel che trovate in questi autori...». Giacomo Casanova (1725-’98), altro grande intenditore, che qui trovò l’amore – di un uomo – e racconta l’indimenticabile serata in compagnia di «un turco gentile che veniva chiamato effendi perché era stato ministro degli esteri», ad assistere al bagno notturno di tre delle belle del suo harem, costretto a calmare la libidine dei suoi «sensi infiammati dalle tre ninfe», sul suo ospite, benché proclami di non essere «amatore di quel genere di cose». Jan Potocki (1761-1815), il geniale autore del Manoscritto trovato a Saragozza, racconta da maestro voyeur dei travestiti, dei «ragazzi in abiti femminili che mimavano nella danza i vari stadi del piacere». Abbiamo poi tentato di raggiungere con un taxi il Cafè Pierre Loti, luogo dove il giovane ufficiale della Marina francese scrisse diversi romanzi e poesie ispirati ai suoi numerosi viaggi, dove il giovane si rifugiava per leggere e scrivere e dove – probabilmente – giunto a Istanbul si innamorò perdutamente di Aziyadè, una meravigliosa odalisca dagli occhi verdi che viveva nell’harem di un dignitario turco e con cui intrecciò un’appassionata storia d’amore; ma fu costretto a ripartire e al suo ritorno ad Istanbul scoprì che la fanciulla era morta di dispiacere. Pierre Loti affermava da intenditore «I luoghi malfamati traboccano di gente». Ma il traffico ad Istanbul è terrificante! Ne avevano già avuto sentore palpabile il giorno dell’arrivo quando ci siamo trovati sui 2 ponti sul Bosforo particolarmente temuti: si trasformano nelle ore di punta – per ovvie ragioni fisiche – in imbuti giganteschi; sulla tangenziale, tabelloni luminosi puntualmente segnalano implacabili i tempi di percorrenza attesi! La città ha tra i 15 e il 17 milioni di abitanti, nonostante i mezzi pubblici funzionino bene quasi tutti scelgono il mezzo proprio, e il risultato sono ingorghi chilometrici, che dilatano i tempi di percorrenza e rendono folle chi ci si trova in mezzo. E allora siamo scesi dal taxi… e ci è apparso coloratissimo e affollatissimo come sempre il Mercato delle Spezie, uno dei luoghi davvero indimenticabili di Istanbul. È il regno dei colori e dei profumi, delle delizie e delle tentazioni. Detto anche Bazar egiziano, dato che Misir in turco significa “mais” ma anche Egitto (probabilmente perché molte spezie – tra cui il mais – venivano importate attraverso l’Egitto nel periodo ottomano) e “Carsi” che indica una strada commerciale, una via di negozi. Il Bazar delle Spezie è famoso per i negozi e i banchi ricolmi di prodotti tradizionali di spezie, erbe rare, profumi, prodotti di erboristeria, frutta secca, medicinali naturali, semi, strane radici. Ogni banco è un colore, una sorpresa, un profumo, una tentazione appunto. Strani grappoli di radici secche pendono qua e là, centinaia di tipi diversi di zafferano, thé di tutte le qualità, il tutto presentato magnificamente. È il luogo ideale per comprare il famoso sapone di alloro esfoliante, quello che si usa tradizionalmente negli hammam. È anche un mercato moderno in cui acquistare dolci, ninnoli e oggettini turistici. Il mercato era a dir poco strapieno, davvero una fiumana inimmaginabile. È stato difficile riuscire a scattare anche solo una foto, praticamente impossibile respirare i profumi delle spezie e fare quattro chiacchiere in santa pace con i loquaci venditori… che parlano davvero tutte le lingue del mondo! Per chiudere in bellezza questo breve soggiorno innanzitutto ci siamo fatti trasportare dalle bianche vesti dei Dervisci rotanti: un’altra esperienza da provare. Sono monaci musulmani che comunicano con la divinità attraverso la danza ruotando su se stessi e oscillando per periodi che variano da 10 minuti a mezz’ora sulla punta delle prime due dita del piede sinistro con un movimento a semi cerchio in due tempi. Il primo arco discendente rappresenta la creazione e proviene da Dio, il secondo ascendente raffigura la comunione spirituale. Questa danza viene eseguita rivolgendo il palmo di una mano verso l’alto, a ricevere la parola di Dio e l’altro verso la terra per trasmetterla ai fedeli. Se volete assistere ad uno “spettacolo” avrete l’imbarazzo della scelta, dato che ormai sono in molti ad abusare della popolarità del sufismo e a presentarlo come un vero e proprio show (a pagamento ovviamente). Nelle vere cerimonie religiose la danza dei dervisci rappresenta solo una parte marginale di un rito che prevede preghiere, canti, musiche dal vivo ed omelie e che dura in tutto quasi 3 ore. Si tratta di un termine afferente a molte generiche confraternite islamiche sufi. I dervisci sono asceti che vivono in mistica povertà, simili ai frati mendicanti cristiani. Le danze sacre sono la più antica forma di trasmissione dei Misteri che essi affermano pervenuti all’uomo dall’antichità, e quanti sono ammessi a un tale esercizio passano attraverso un insegnamento speciale che prevede una lunga preparazione. Insieme alla rappresentazione, un derviscio compie un particolare esercizio interiore che ha il fondamentale compito di accelerare complessivamente la frequenza del ritmo di lavoro del proprio organismo, e impedire allo stesso tempo di creare squilibri tra le varie parti del corpo, specialmente tra il centro di "coordinazione motoria", il centro "intellettivo" e quello "emozionale". Subito dopo abbiamo cenato con una tipica cena ottomana in un ristorante nella zona di Eminönü con vista notturna sul ponte di Galata e zone circostanti. E la mattina successiva (28 aprile) abbiamo dovuto dire “arrivederci” alla città degli Imperatori e dei Sultani. Per chiudere vi consigliamo di leggere il libro di Silvia Ronchey di formazione bizantinista: Il romanzo di Costantinopoli. Guida letteraria alla Roma d’Oriente, scritto a 4 mani con Tommaso Braccini. Il tema letterario non è quello prevalente, ma si intreccia in un dettagliatissimo percorso quartiere per quartiere, quasi pietra per pietra. Si tratta, prima ancora che di una monumentale antologia, di una vera e propria enciclopedia di scritti su Istanbul. C’è forse un solo altro grande Paese al mondo su cui viaggiatori meravigliati, gente che vi ha dedicato un’intera vita di studio o gente incantata da un breve fugace incontro, nei secoli, hanno scritto più che sulla Turchia – è la Cina. In un caso e nell’altro, per ognuno degli stranieri che aveva capito quasi tutto, meglio e più dei ‘locali’ (come per esempio il gesuita Matteo Ricci per la Cina), ce ne sono mille che non hanno capito quasi nulla.
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