La porta magica (Calisti, Flavia)
- preside713
- 22 apr 2013
- Tempo di lettura: 3 min
Ciò che non manca mai di stupirmi di Roma è la straordinaria ricchezza del suo patrimonio artistico, ma altresì mi colpisce sempre più la poca conoscenza che noi Romani abbiamo di tale ricchezza. Il perché è presto detto, invece di essere liete di tale abbondanza, le Istituzioni le hanno sempre considerate un problema, non valorizzando affatto quello che è un patrimonio anche nel senso economico (e non solo culturale) del termine. Capita così di scoprire, in una delle zone più colpite dal degrado urbano, uno dei gioielli del Barocco romano. L’area è quella di Piazza Vittorio, la piazza più grande di Roma, capolavoro di Gaetano Koch che l’aveva pensata come una grande vetrina porticata sul modello delle grandi capitali del Nord, piazza borghese destinata magari ad ospitare le Grandi Firme della moda made in Italy e oggi tristemente nota invece per essere il cuore della nostrana Chinatown. Passando frettolosamente qualcuno avrà forse visto i ruderi dei Trofei di Mario, mostra monumentale dell’Aqua Iulia realizzata nel 226 d.C. da Alessandro Severo e decorata un tempo con i c.d. Trofei di Mario (ma in realtà di Domiziano) che ornano oggi la Cordonata capitolina.
Ma difficilmente qualcuno avrà notato, accanto ad essi, i resti di una piccola porta marmorea, inglobata in un anonimo muretto proprio ai loro piedi. È la Porta Magica, o Alchemica o dei Cieli, uno dei monumenti più curiosi della città. La sua collocazione attuale, nel vecchio muro perimetrale della chiesa di Sant’Eusebio, non è quella originaria. Prima del 1873 si trovava circa 50 m. più in là, verso via Carlo Alberto, ed era uno degli ingressi laterali della grande villa del Marchese Massimiliano Palombara di Pietraforte. Il povero marchese, forse per sfuggire alla bisbetica moglie o per cercare di meglio introdursi nei salotti dell’epoca, si dilettava di alchimia, ovvero, come molti suoi contemporanei, cercava di indagare i misteri mistico-fisici della materia, che potevano portare alla somma trasmutazione, quella dei comuni metalli in oro. Si racconta che in una notte di plenilunio del 1656 il marchese vide uno sconosciuto che raccoglieva erbe nel suo giardino. Un servo fu inviato a cacciarlo via, ma questi ritornò invece con la notizia che l’uomo asseriva di essere in realtà un grande alchimista e che quelle erbe erano l’ultimo ingrediente necessario per poter giungere alla conquista della somma Sapienza. Il marchese lo fece dunque accomodare e per tutta la notte lo lasciò lavorare, solo, nel suo studio. Quando al mattino andò a chiamarlo, nonostante la porta fosse chiusa dall’interno, come nei migliori gialli, l’uomo era sparito, lasciando dietro di sé dei fogli pieni di frasi in latino dal senso sfuggente, la carta del Matto dei tarocchi e una luccicante polvere gialla, che sembrava essere proprio oro. Il marchese provò a decifrare quelle sibilline sentenze, ma quando capì che la sua scienza non era sufficientemente edotta sui misteri alchemici, decise di condividere il suo segreto con il resto del mondo. Fece dunque incidere le frasi sugli stipiti della porta per la quale il misterioso pellegrino era entrato, affinché qualcuno, un giorno, potesse comprenderle. Ebbene, provate voi, le frasi aspettano una interpretazione da quasi quattrocento anni, e se anche non diventerete ricchi grazie alla Pietra Filosofale, sarete comunque arricchiti dalla conoscenza di un altro magico (in tutti i sensi) luogo della nostra città.
Ricorda lettore SI SEDES NON IS!
Flavia Calisti

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