L’età dell’Equilibrio (Calisti, Flavia)
- preside713
- 1 lug 2013
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I Musei Capitolini ospitano quest’anno il terzo appuntamento del progetto espositivo quinquennale “I giorni di Roma”. Il 2013 è dedicato all’ “Età dell’Equilibrio”, ovvero ai felicia tempora iniziati con l’ascesa al trono di Traiano e conclusisi bruscamente con la morte di Marco Aurelio. Cinque imperatori in poco più di ottanta anni e la percezione della raggiunta pienezza dei tempi come non avveniva dall’epoca di Augusto.
Apre la serie appunto Traiano, primo imperatore non italico. Spagnolo, della provincia betica, valente generale, porterà l’impero alla sua massima espansione: 3,5 milioni di Km2 con una popolazione di 55 milioni di persone, un milione delle quali solo a Roma. È lui l’optimus princeps, giusto ed equo. Poco importa a Cassio Dione di qualche piccolo vizietto, come l’amore per il vino ed i fanciulli, passioni che sapeva coltivare però, precisa lo storico, con estrema discrezione. Discrezione che non ebbe invece il suo successore: Adriano.
Molte le male lingue che mettevano in dubbio anche solo la legittimità della sua elezione, certo è che tale imperatore, presente nel nostro immaginario per il suo gusto e la sua cultura, fu odiatissimo dai contemporanei. Cassio Dione è spietato, lo descrive invidioso fino al parossismo, permaloso, puntiglioso e saccente. L’aspetto che in lui noi più ammiriamo, l’amore per la cultura greca, lo rendeva insopportabile ai Romani, che lo chiamavano il “grecuzzo” in tono spregiativo. Viaggiò in lungo e in largo per le province, si trattenne a lungo fuori di Roma, e quando vi tornava, alloggiava a Villa Adriana, quasi che snobbasse la capitale dell’Impero. Retrocesse molte delle conquiste di Traiano, e poco valeva che lo facesse per salvaguardare al meglio lo sconfinato limes. Ma l’errore più grande, quello che i Romani non seppero e non vollero perdonargli, fu l’amore, tutt’altro che discreto per un giovinetto, a dire il vero bellissimo: Antinoo. Schiavetto della Bitinia dai tratti delicati, morì in circostanze mai chiarite, annegato nel Nilo nel 130 d.C. La sua morte, che si sperava tacitasse lo scandalo, fu invece accolta dall’imperatore con manifestazioni muliebri di disperazione, l’impero si riempì di sue immagini e il giorno della sua nascita venne celebrato annualmente come un dio. Intollerabile da parte di un imperatore che non aveva saputo procreare un figlio, sospettato addirittura di aver ucciso la moglie, accusato di non aver concesso nessun onore alla morte della sorella, degnissima matrona romana. Quando Adriano morì tale atteggiamento, unito ai torti arrecati alla classe senatoria, gli videro preclusa la via della divinizzazione. Saranno le accorate parole e le lacrime versate da Antonino a far cambiare idea ai Padri Coscritti.
Fu così che Antonino fu detto Pio. Non era stato la prima scelta di Adriano, il quale gli aveva preferito Lucio Elio Cesare, ma il Fato aveva disposto diversamente, e il candidato morì. Fu allora che Adriano tenne un discorso nella Curia, nel quale esaltava la paternità d’adozione rispetto a quella naturale. La scelta del migliore doveva guidare l’ascesa al trono dei nuovi imperatori, non certo il sangue, che garantiva dei privilegi, non certo delle virtù. Antonino regnò a lungo, fedele al suo nome: giusto, tollerante, moderato.
Alla sua morte saliranno sul trono Marco Aurelio ed il fratello adottivo Lucio Vero, per la prima volta vi saranno due capi per un solo Impero. La divisione del potere durò poco però, e Lucio morì lasciando Marco su un trono che dichiarava di non amare quanto la filosofia. Certo è che per mantenerlo a lungo tollerò le manifeste scappatelle della moglie, Faustina Minore, figlia del suo predecessore, che amava divertirsi, senza troppa discrezione, con marinai e gladiatori. Interrogato in merito Marco dichiarava di non poterla ripudiare, altrimenti avrebbe dovuto restituire anche la dote, ovvero l’Impero. Non è l’unica incongruenza tra il grande intellettuale dei Pensieri e l’uomo di potere restio ad abdicare al suo ruolo. Alla sua morte, invece di perpetuare la felice tradizione dell’adozione del migliore, lasciò sul trono il figlio Comodo, del quale, a dire delle fonti, non ignorava la natura debole e crudele. Proprio per tale scelta di Marco Aurelio, ci dice Cassio Dione, si chiuse l’età dell’oro della Roma imperiale e si aprì un’era di ferro e ruggine. Le numerose invasioni subite negli ultimi anni del regno di Marco, la terribile epidemia di peste che decimò la popolazione dell’impero, la reintroduzione della successione su base dinastica, i semi della futura decadenza erano ormai stati gettati e trovarono negli anni seguenti un fertile terreno su cui attecchire e prosperare.
L’età dell’equilibrio è anche quella che conosce un nuovo fenomeno, la progressiva diffusione dell’inumazione, costume funerario prima minoritario nella cultura romana. I sarcofagi si fanno via via più grandi e le figure che li decorano si vanno strutturando in scene sempre più complesse, in grovigli di corpi avviluppati in scene drammatiche di guerra nelle quali l’aggetto e il chiaroscuro donano corpo a grandiose rappresentazioni.
Una sezione della mostra si occupa poi delle grandi dimore imperiali, prima fra tutte Villa Adriana, dalla quale provengono statue in marmi policromi e mosaici di magnifica fattura.
Insolito lo spettacolo offerto dai quasi 13 Kg di manufatti in argento provenienti da Marengo (Alessandria).
Segue la sezione dedicata ai vinti, in cui rilievi e statue raccontano, in attenti reportages di guerra, la sorte dei barbari, domati da trionfanti imperatori. L’alterità è sottolineata con dettagli antropologici e cura quasi etnografica, e coinvolge non solo i nemici, ma anche l’ambiente in cui si muovono, mai semplice sfondo, ma tangibile esempio di una barbarie che riguarda anche la flora e la fauna di quei mondi lontanissimi. Interessante un rilievo proveniente dal Foro di Traiano raffigurante una rara scena di epatoscopia.
Torna infine il mondo dell’al di là, con il celeberrimo corredo sepolcrale di Crepereia. Si susseguono poi i rilievi funebri provenienti dalla tomba degli Haterii e da quella monumentale di Claudia Semne sull’Appia, oltre a tutta una serie di interessanti rappresentazioni di mestieri. In una società in cui davvero il lavoro nobilitava l’uomo, essendo una delle vie privilegiate di promozione sociale, raffigurarsi sulla propria tomba, in atto di organizzare dei giochi del circo o al lavoro nella propria bottega di macellaio tra prosciutti e costolette, era parimenti un vanto per sottolineare lo status che grazie alla propria attività si era riusciti a raggiungere.
Chiude l’esposizione una simpatica intuizione. Dopo aver visto sfilare serie interminabili di busti di uomini e donne imitanti la moda lanciata dai sovrani del momento, si possono infatti ammirare bambole di fine Ottocento e inizio Novecento raffiguranti, nelle acconciature e negli abiti, la stessa aspirazione emulativa. Una mostra estremamente interessante dunque, piena di spunti e suggestioni, che permetterà di conoscere meglio un periodo insospettabilmente pieno di contraddizioni. Mi raccomando poi, prima di uscire non dimenticate di prendere una copia dell’Equilibrista… chi andrà ai Musei Capitolini entro il 5 maggio capirà perché….
Flavia Callisti
FOTO

Centauro Anziano

Fauno ubriaco

Lucio Vero, busto in argento da Marengo


Busti di Antonio Pio e Faustina minore
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