Roma antica in tutti i sensi (Calisti, Flavia)
- Callisti, Flavia
- 21 lug 2015
- Tempo di lettura: 4 min

Avete mai pensato che quando visitiamo Roma e le sue bellezze lo facciamo utilizzando uno solo dei nostri sensi: la vista? Resti di templi, edifici per spettacoli, tombe e mausolei, colonne, fregi, affreschi, iscrizioni e statue riempiono di meraviglia i nostri occhi, ma danno un’idea parziale del mondo antico. Proviamo allora a coinvolgere tutti i nostri sensi, del resto oggi vanno così di moda le “esperienze multisensoriali”…
Iniziamo con l’udito. Non sentite? Le strade di Roma risuonavano di voci e urla, ne sapeva qualcosa il povero Seneca, che abitava vicino a delle terme e dalla sua finestra udiva gli sbuffi di chi si allenava (o, sottolinea ironicamente il filosofo, semplicemente fingeva di farlo), lo sbatter di mani impegnate a massaggiare qualcuno, le grida di coloro che giocavano a palla e tenevano a voce il punteggio, le urla di chi coglieva un ladro in fragrante, il canticchiare di chi si godeva il proprio bagno, lo scroscio dell’acqua smossa dai tuffi, il richiamo dei venditori di bibite, salsicce, dolci e di ogni bendiddio e infine la stridula voce del depilatore in cerca di clienti, che “si azzitta solo quando trova un cliente da far strillare al posto suo”![1]. Ne sapeva qualcosa il povero Marziale, costretto per dormire ad andare a Nomento, poiché a Roma di mattina presto si udivano già le voci dei maestri che insegnavano in strada ai loro allievi, il battere incessante dei martelli dei bronzisti, poi cambiavalute, mendicanti, processioni religiose e di notte i panettieri, tanto che, sospirava Marziale era come se avesse “l’intera Roma accanto al suo letto”[2]. E, chiosava Giovenale “ci vogliono grandi ricchezze per poter dormire in città!”[3]. Questo anche per il continuo passare notturno di mandrie e carri (cui la circolazione era interdetta di giorno). Certo si poteva sempre seguire l’ottimo consiglio dato da Trebazio al povero insonne Orazio: “ungersi ben bene con olio, attraversare per tre volte il Tevere a nuoto e cospargersi poi a sera il corpo con del buon vino”[4] – ma forse il buon vino a quel punto bastava berlo…
Insomma, l’inquinamento acustico nell’antica Roma doveva essere un bel problema, ma in talune circostanze i Romani avevano studiato ingegnose soluzioni. La confusione era un bel problema durante le cerimonie religiose, quando era fondamentale che il sacerdote officiante non commettesse alcun errore nella recita di formule e preghiere. Tale compito risultava assai arduo per colui che si trovava circondato da migliaia di persone vocianti, dai muggiti, i belati e i grugniti degli animali pronti al sacrificio. Come concentrarsi in un tale marasma? Accanto al sacerdote non mancava mai il suonatore di doppio flauto, che con il dolce suono del suo strumento copriva lo strepitio di tutti quei molesti rumori e aiutava il celebrante a trovare la necessaria concentrazione…
Ora esercitiamo l’olfatto. Che odore aveva l’antica Roma? Un odore che forse non avremmo gradito. Nei pianterreni delle insulae e presso i crocicchi delle strade avremmo infatti trovato grandi orci per la raccolta dell’urina. Una lucrosa idea dell’imperatore Vespasiano per vendere preziosa ammoniaca alle tintorie dell’epoca. Al perplesso figlio Tito l’imperatore aveva fatto notare che “pecunia non olet”… Certo è che forse il denaro non ha odore, ma le strade della città dovevano averne uno ben poco piacevole, contando anche che spesso gli inquilini degli ultimi piani non affrontavano ripide rampe di scale solo per svuotare i loro pitali, quando avevano a disposizione comode finestre da cui gettare il contenuto…
Forse ci sarebbe piaciuto di più trovarci nei pressi di uno degli 11 complessi termali pubblici di cui era dotata Roma o dei tanti, tantissimi balnea che deliziavano i cittadini romani. L’odore sarebbe stato lì quello della legna che incessantemente bruciava. L’odore di caminetto che subito ricorda alle nostre narici l’arrivo dell’inverno, per i Romani significava “qui posso lavarmi!”. Ahimè, talora quello stesso odore era la prima avvisaglia di una disgrazia, Roma bruciava, bruciava assai più spesso di quanto le fonti ricordino, l’odore di legna bruciata era anche odore di tragedia…
Che sapore aveva Roma? Un sapore terribile a leggere le ricette dei Gordon Ramsey dell’epoca. Tutti avrete sentito parlare del garum, salsina piccante multiuso a base di interiora di pesce salate, lasciate fermentare al sole[5]. Fundanio, relazionando Orazio su un lauto banchetto cui ha partecipato, ricorda di essersi visto servire viscere di passero marino e rombo, una murena pregna, spezzatino di gru con salsa di sale e farro ed altre leccornie di tal fatta[6]. Certo non bisognerebbe giudicare senza aver assaggiato, ma forse non è un caso che Fundanio e gli altri commensali abbiano poi abbandonato tale banchetto e il loro ospite così gourmand senza toccar cibo…
Resta infine il tatto. La prima cosa che mi viene in mente è lo sfregare di stoffe di lino e lana sulla pelle. In un’epoca in cui molti sono insofferenti al misto lana o al poliestere, fa rabbrividire pensare al continuo strofinio con quelle ruvide tuniche e alle pesanti toghe che le rivestivano. Penso poi al caldo insopportabile o al gelo che quelle stesse epidermidi avrebbero provato alle Terme, sui marmi umidi e finemente lavorati che ornavano calidaria e frigidaria. Pelli che poi i più vanitosi avrebbero cosparso d’olio e costrette ad uno scrub a base di sabbia…
Ecco qui alcune suggestioni sulla vita di duemila anni fa, spero che vi tornino in mente durante la vostra prossima visita, in modo che possiate vedere non solo con gli occhi, ma con naso, orecchie e polpastrelli, per scoprire che Roma è davvero interessante IN OGNI SENSO!!!
Flavia Calisti
[1] Seneca, Lettere a Lucilio, epistola 56.
[2] Marziale, Epigrammi XII, 57.
[3] Giovenale, Satire III, 235.
[4] Orazio, Satire II, 1, 7-9.
[5] Apicio, de re coquinaria.
[6] Orazio, Satire II, 8.
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