Tiziano Rubens Rembrandt. L’immagine femminile tra Cinquecento e Seicento
- preside713
- 24 gen 2017
- Tempo di lettura: 11 min
3 capolavori dalla Scottish National Gallery di Edimburgo
Treviso, Museo di Santa Caterina, 29 ottobre 2016 - 1 maggio 2017
A Treviso dal 29 ottobre 2016 al 1 maggio 2017 saranno aperte al pubblico e visitabili 3 grandi mostre al Museo di Santa Caterina.
L’Upter partecipa a questo evento con un breve weekend nella terra del Sile. Fra le tante opere d’arte – Impressionismo, Rinascimento, Seicento – presenti nelle sale espositive ci sono 3 opere di 3 grandi Maestri del passato: il veneto Tiziano Vecellio, l’olandese Rembrandt Harmenszoon Van Rijn e il fiammingo Pieter Paul Rubens.
Tiziano Vecellio, Venere che sorge dal mare, 1520 ca.
E le vergogne, cosí come pria le recise col ferro,
dal continente via le scagliò nell'ondísono mare.
Cosí per lungo tempo nel pelago errarono; e intorno
all'immortale carne sorgea bianca schiuma; e nutrita
una fanciulla ne fu, che prima ai santissimi giunse
uomini di Citèra. Di Cipro indi all'isola giunse.
E qui dal mare uscí la Dea veneranda, la bella;
ed erba sotto i piedi suoi morbidi crebbe; e Afrodite
la chiamano gli Dei, la chiamano gli uomini: ch'ella
fu dalla spuma nutrita: Ciprigna anche è detta, da Cipro
ov'ella anche approdò: Citerèa perché giacque a Citera;
e genïale perché dalle membra balzò genitali.
Compagno Amor le fu, la seguí Desiderio leggiadro,
quando ella prima nacque, dei Numi avanzò fra l'accolta.
Tal da principio onore possiede, tal sorte prescelta
a lei fu tra le genti mortali e fra i Numi immortali:
i virginali colloquî d'amore, ed il riso e gl'inganni,
ed il soave sollazzo, coi baci piú dolci del miele.
Esiodo, Teogonia, (vv. 188-205)
Intorno all’VIII/VII a.C., il cantore Esiodo scrisse la Teogonia, un testo fondamentale per lo studio della mitologia, non solo greca, ma anche dell’Antico Egitto e del Vicino Oriente Antico. Si parte dal “Chaos” primordiale per arrivare alla figura di Zeus come re dell’Olimpo. È pur vero che tale opera ci è stata consegnata dalla tradizione medievale bizantina, ma questo non diminuisce la sua importanza come fonte storica[1].
Tra le divinità descritte, troviamo il nome Aphrodítē. Afrodite, o Venere per i romani, non è greca: l’origine è ancora controversa. Il suo nome sembra essere legato all’Oriente Antico, alla Fenicia, ma tutti ormai la conosciamo secondo la tradizione omerica. È la prima divinità a prendere sembianze “umane”, ad assomigliarci, anche se “sorella” degli Ecatonchiri, dei Ciclopi e dei Titani. Come si legge in Esiodo, Afrodite era nata in primavera dalla spuma del mare (afros significa proprio spuma, schiuma), fecondata dai genitali di Urano che Cronos aveva scagliato in mare dopo la ribellione contro il padre. Appena uscita dalle acque, fu trasportata da Zefiro nell’isola di Citèra (Cerigo, da cui l’appellativo) e poi a Cipro, da dove il suo culto si diffuse in tutta la Grecia e in Sicilia.
Era “Urania”, perché Dea dell’amore celeste, datrice di ogni benedizione. Era “Pandemo”, perché terrena, protettrice degli amori carnali. Era “Pontia”, patrona della navigazione e dei naviganti. Così il dominio di Afrodite si estendeva su tutta quanta la natura, e se in un primo tempo, secondo una genesi asiatica, il suo potere fu collegato alla forza procreatrice della natura, col tempo attenuò il suo carattere dirompente, finché in Grecia perse tutto quanto potesse rammentare questa sua discendenza per diventare una divinità ellenica, dea della bellezza e dell'amore. Legato proprio alla sua nascita è l’appellativo di “Anadyomenē” (emersa dal mare). Il tipo originario orientale e fenicio era nudo, senza panneggi o pose che potessero celare le parti intime della Dea (fig. 1 e 2). Un dipinto perduto del celebre pittore greco Apelle aveva come soggetto proprio una Venere Anadiomene, cioè Afrodite che si leva nascente dalle acque e si strizza i capelli bagnati sollevando le braccia. Plinio il Vecchio giudicò l'affresco come uno dei più celebri, realizzato per Alessandro Magno e, secondo lui, il pittore si era ispirato a Campaspe, amante dello stesso Alessandro. Per Ateneo di Naucrati, invece, Apelle si sarebbe ispirato dalla visione di Frine che usciva nuda dal mare durante i Misteri eleusini.
Non ci è dato ancora sapere per chi fu realizzata questa splendida Venere Anadiomene di Tiziano Vecellio (fig.3), opera che gli storici tendono a datare attorno al 1520 e non più al 1517, scartando quel “Bagno” citato dalle fonti antiche come dipinto da Tiziano per Alfonso I d'Este. L'opera, che è passata attraverso diverse collezioni private, è ora conservata presso la National Gallery of Scotland di Edimburgo che l’ha acquistata nel 2003 dalla collezione del duca di Sutherland. Tiziano sicuramente doveva conoscere la descrizione del modello antico: la dea emerge dall’acqua, con il corpo ancora completamente nudo, quasi eretto, compiendo una torsione che la fa piegare leggermente in avanti, posizione questa che rende molto naturale il gesto di strizzare i suoi lunghi capelli. Il suo sguardo non incontra quello dell’osservatore, è attratta da qualcosa o qualcuno di lato; le sue carni riempiono tutta la tela; la conchiglia di capasanta che galleggia sulla superficie marina rimanda alla leggenda della sua nascita, spinta a riva sulle valve dell'animale, marino proprio come una perla. Questa volta, però, la Pecten maximus (conchiglia), pur perfettamente riconoscibile, galleggia in un angolo come memoria mitologica e non come co-protagonista del soggetto. Il cielo si incontra con il mare ed il colore blu è dominante, steso con pennellate larghe e distese, di diverse tonalità man mano che si sale verso l'alto (fig. 4, 5, 6). Lo sguardo è intenso, l'espressione naturale, il corpo formoso, lumeggiato da colori perlacei. La sua Afrodite ha una fisicità talmente concreta e tangibile, da far pensare che Tiziano si sia ispirato a una donna vera, forse una donna amata. Alla Galleria Doria Pamphilj di Roma è conservata una Salomè di Tiziano, datata 1515 (fig. 7).
La lettura iconografica dell’opera ha portato a individuare un messaggio “amoroso” personale dello stesso Tiziano, che si è autoritratto nella testa del Battista. Quindi, la Salomè è il ritratto di una donna realmente amata dall’artista, una musa ispiratrice. Era normalissimo che sotto gli abiti e i volti di santi ed eroine, si nascondessero personaggi reali, come era consuetudine che alcuni soggetti rappresentati non fossero altro che descrizioni o dichiarazioni di momenti di vita privata oltre che pubblica. Mettendo a confronto la Venere e la Salomè di Tiziano, non si può fare altro che notare una somiglianza stringente fra i due volti (fig. 8 e 9).
Quel volto colore della perla, quel corpo così umanamente morbido, quei lunghi capelli ondulati, quello sguardo così armonioso, appartengono alla stessa donna. Chi è? Questa è un’altra storia.
Giuseppina Micheli
Bibliografia
ESIODO, Teogonia, traduzione a cura di Ettore Romagnoli (1929), Zanichelli, Bologna
GENTILI A. (1980), Da Tiziano a Tiziano, Feltrinelli, Milano
PANOFSKY E. (1975), Studi di Iconologia, Einaudi, Torino
PANOFSKY E. (1992), Tiziano, problemi di Iconografia, Marsilio, Venezia
STRINATI C. (1995), Amor Sacro e Amor Profano, catalogo della mostra, Electa, Firenze
Fig. 1 Anadiomene, II-I sec. a.C., Mosca, Museo Puškin Fig. 2 Anadiomene, 110-90 a.C. M.A.N. Sanna, Sassari


Fig. 3 Tiziano Vecellio, Venere che sorge dal mare, 1520 ca., Scottish National Gallery, Edimburgo

Fig. 4, 5, 6 particolari della Venere che sorge dal mare di Tiziano Vecellio



Fig. 7 Tiziano Vecellio, Salomè con la testa del Battista, 1515, Palazzo Doria Pamphilj, Roma

Fig. 8, 9 particolari dei volti della Venere e della Salomè di Tiziano


Rembrandt alla Scottish National Gallery of Edimburgo
Rembrandt Harmenszoon van Rijn viene generalmente considerato uno dei più grandi pittori della storia dell’arte europea e il più importante di quella olandese. Il suo periodo di attività coincide con quello che gli storici definiscono Gouden Eeuw – Secolo d’Oro dei Paesi Bassi. Dopo aver ottenuto un grande successo fin da giovane come ritrattista, i suoi ultimi anni furono segnati da tragedie personali e difficoltà economiche. Rembrandt viveva al di sopra dei propri mezzi, comprando opere d’arte (talvolta riacquistando ad un prezzo superiore i suoi stessi lavori), stampe (spesso usate nei suoi dipinti) ed oggetti rari, abitudine che probabilmente lo condusse alla bancarotta nel 1656. Il suo stato di insolvenza fece sì che la maggior parte dei suoi dipinti e dei suoi oggetti di antiquariato finirono per essere messi all’asta. Fu costretto anche a vendere la propria casa e il suo torchio da stampa, trasferendosi in un’abitazione più modesta. Lì Hendrickje (la seconda moglie) e il figlio Titus fondarono una società, dando a Rembrandt un impiego e proteggendolo dai creditori. I più grandi trionfi creativi del maestro olandese sono evidenti specialmente nei Ritratti dei suoi contemporanei, nei suoi Autoritratti e nelle illustrazioni di Scene tratte dalla Bibbia, dove mostrò sia in pittura che nella grafica una completa conoscenza dell’iconografia classica modellandola e adattandola alle proprie esigenze. Così, per esempio, la rappresentazione di scene bibliche era costituita dalla sua conoscenza dei relativi testi e dall’osservazione della popolazione ebrea di Amsterdam.
Gli esperti del XX secolo sostennero che Rembrandt avesse realizzato più di 600 dipinti, quasi 400 incisioni e circa 2.000 disegni. È probabile che nel corso della sua vita abbia in effetti realizzato più di 2.000 disegni, ma quelli sopravvissuti sono meno di quanto un tempo si potesse ritenere. I suoi dipinti sono di dimensioni piuttosto ridotte (come accade per molti artisti dei Paesi Bassi come Vermeer, Steen, Bouts e altri) ma presentano una grande ricchezza di dettagli: la cura delle vesti e dei gioielli dei soggetti per esempio. Un’eccezione è rappresentata dall’enorme La ronda di notte, la sua opera più famosa, quella di maggiori dimensioni, nonché la più vigorosa e d’impatto (Fig. 1).
Nel corso degli anni, pur continuando ad eseguire quadri ispirati a temi biblici, spostò la sua attenzione dalle scene di gruppo ad alta intensità drammatica a singole figure più delicate e simili a ritratti. Nei suoi ultimi anni Rembrandt dipinse i suoi autoritratti più riflessivi e introspettivi. Inserì spesso i suoi parenti più stretti – la moglie Saskia, il figlio Titus e la seconda compagna Hendrickje – nei suoi dipinti, molti dei quali a soggetto mitologico, biblico o storico, dando le loro sembianze ai personaggi principali.
Rembrandt Harmenszoon Van Rijn, Giovane donna a letto, 1645. L’opera è firmata e datata “REMBRA (…) F. 164 (.)”. L’iconografia (fig.2). e la datazione dell’opera sono ancora oggetto di discussione, così come il titolo convenzionale che ne individua le problematiche: qualcuno vi riconosce un ritratto in costume e nella fanciulla la compagna del pittore (Hendrickje Stoffels[2]), data l’intimità dell’atmosfera e dato che Rembrandt era solito usare come modelli i propri familiari; altri pensano che non sia solamente un ritratto, ma una scena mitologica o biblica. Nel primo caso, alcuni la identificano con Danae, come una reinterpretazione del dipinto omonimo[3], di cui accenneremo in seguito; nel secondo, si può leggere la scena come Agar in attesa di Abramo o Sara che osserva la lotta dell’arcangelo Raffaele con il demone che la possedeva[4]. La storia di questo dipinto è nota a partire dal 1742, quando fu battuta a Parigi all’asta del principe di Carignano: attraverso varie vicende l’opera pervenne a una collezione scozzese, che nel 1892 la lasciò in eredità alla National Gallery di Edimburgo. La critica più recente propende tuttavia per interpretare i soggetti di questo genere come quadri di storia, per i quali talvolta poterono posare i familiari del pittore.
Passiamo all’analisi delle opere.
Danae (fig.3) realizzato nel 1636, rimaneggiato successivamente. È conservato nel Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo. L'opera è firmata e datata "REMB (…) F 1 (…) 6". Danae era stata rinchiusa dal padre Acrisio in seguito alla profezia che lo vedeva morto per mano del nipote. Zeus, però, trasformatosi in pioggia d'oro - secondo altre versioni, in monete d'oro - riuscì a raggiungere la fanciulla: dalla loro unione nacque Perseo, che uccise il nonno in un torneo. Rembrandt rappresenta la giovane sul suo letto, illuminata da una luce dorata, che potrebbe alludere alla purezza dell'amore divino, concetto rafforzato dalla presenza dell'amorino alla testa del letto, simbolo di castità. Nel 1985 il quadro fu deturpato con l'acido. Tra le possibili fonti di ispirazione seguite da Rembrandt si annovera un'incisione di Annibale Carracci raffigurante Giove e Antiope o secondo altra interpretazione Venere spiata da un satiro (1592). Vari elementi sembrano, infatti, coincidere tra la tela di Rembrandt e l'incisione del Carracci, come la posizione delle gambe e del bacino della donna nuda, la prominenza del suo ventre, il ricamo dei cuscini. Non è escluso inoltre che Rembrandt possa aver avuto in mente anche un'altra opera di Annibale, dedicata allo stesso soggetto del suo dipinto (Danae), andata distrutta nel corso della seconda guerra mondiale; ma anche fare riferimento al celebre dipinto di Tiziano, di cui una replica autografa si trova anch’essa nel museo russo. Le radiografie hanno dimostrato che la moglie Saskia prestò il suo corpo per il dipinto, anche se l’artista dopo la sua morte cambiò il volto. Il riferimento mitologico è certo anche se vi è qualche differenza iconografica, essendo assente la pioggia di monete e di polvere di oro attraverso la quale Giove vuole ingraziarsi Danae e tante ne versa fino a quando non riesce a possederla. La composizione è uno dei rari esempi di rappresentazione di una donna nuda nella pittura olandese, vincolata da una rigorosa morale calvinista e la stessa imperatrice Caterina II, che fu proprietaria della tela, non la teneva in mostra nel suo palazzo, perché turbata da una nudità così sconvolgente per la sofferta carica di umanità della donna, accentuata da una luce calda e da una pennellata carica di materia. Saskia, la diletta moglie scomparsa non ancora trentenne, fu per lunghi anni la sua modella e Rembrandt era solito ritrarla con un sorriso malizioso o con una dolce espressione rassicurante o nelle vesti sontuose di ricca dama[5] (fig. 4). In questa tela viceversa l’artista ce la offre nella sua pura nudità, esente da ogni ipocrisia o artificiosità, con un impasto di colori armonioso e caldo e con felici toni di luce, che sembrano amorevolmente accarezzare il corpo amato della donna dalle linee morbide e flessuose. I seni piccoli ma graziosi, dalla carnagione delicata e tersa hanno rappresentato per l’artista il porto sicuro dove soffermarsi durante le burrasche della vita. La malattia della moglie incombe minacciosa e l’artista vede quei seni in pericolo e quindi si affretta a fissarli nell’eternità della tela, per poter tornare sempre a contemplarli e ricordare il tempo trascorso con essi, quando poteva giocare con quei delicati boccioli e sentirsi completamente ristorato come se avesse a lungo bevuto un’acqua diafana, appagato dopo aver conosciuto il più arcano segreto della felicità.
Giovane donna al bagno in un ruscello realizzato nel 1654 (fig.6). È conservato nella National Gallery di Londra. L'opera è firmata e datata "REMBRANDT F 1654". La donna, dopo aver posato i suoi vestiti su un masso che si può vedere alle sue spalle, si trova con le gambe in parte immerse nel fiume, indossando solo una camiciola. La posa non è statica e rappresenta un gesto molto limpido. Il quadro è caratterizzato da straordinari effetti cromatici e l'angolo visivo è molto ristretto. Come nel caso di Giovane donna a letto, anche per questo dipinto non si hanno certezze riguardo alla possibile iconografia: alcuni vi riconoscerebbero il bagno di Betsabea. Altri studiosi invece sostengono che la donna nel dipinto sia Hendrikje, la seconda compagna di Rembrandt. Altra ipotesi di iconografia mitologica individua la ragazza come la ninfa Aretusa, che si immerge nuda nel fiume Alfeo, che poi muta in uomo per possederla.
Stefania Laurenti
Fig. 1. Rembrandt van Rijn, La ronda di notte, 1642, Amsterdam,Historisch Museum Rijksmuseum

Fig. 2. Rembrandt van Rijn, Giovane donna a letto, 1645, Edimburgo, National Gallery

Fig.3. Rembrandt van Rijn, Danae, 1636, San Pietroburgo, Ermitage

Fig.4. Rembrandt van Rijn, Saskia in veste di Flora, 1634, San Pietroburgo, Ermitage

Fig.4. Rembrandt van Rijn, Saskia in veste di Flora, 1635, Londra, National Gallery

Fig.6. Rembrandt van Rijn, Giovane donna al bagno in un ruscello, 1654, Londra National Gallery

Note
[1] La figura di Afrodite la ritroviamo anche in altri poemi, oltre a quello di Esiodo. Nell'Iliade Afrodite appare come figlia di Zeus e di Dione. Difende i Troiani ed è madre dell'eroe Enea, generato con l'eroe troiano Anchise. Anche nell'Odissea, Afrodite è la dea dell'amore ma qui è moglie del dio Efesto e amata anche da Ares.
[2] La giovane donna che fu al fianco di Rembrandt a partire dal 1649.
[3] In effetti i pochi elementi dell’ambientazione e la posizione del corpo avvicinano suggestivamente questa figura a quella dell’Ermitage, quasi che l’artista avesse voluto cambiare punto di vista e concentrare lo sguardo su un dettaglio della scena.
[4] Questa seconda interpretazione si appoggia sull’esistenza di un quadro di Lastman cui Rembrandt si sarebbe ispirato: nel dipinto Sara dal letto nuziale è in attesa di Tobia e osserva l’Angelo Raffaele. Secondo il racconto biblico, infatti la fanciulla si era sposata sette volte, ma uno spirito che la possedeva aveva ucciso tutti i suoi mariti; l’ottavo marito, Tobia, seguì i consigli dell’angelo Raffaele liberandola dal maleficio.
[5] Saskia in veste di Flora è conservato nel Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo. L'opera è firmata e datata "REMBRANDT F(..)34". Un’altra versione è conservato nella National Gallery di Londra (fig.5) ed è firmata e datata "REM (B.) A (…) 1635": si tratta però di una firma apocrifa, eseguita durante un restauro, probabilmente fedele all'iscrizione originale, rimossa per errore. Flora (divinità) era la dea romana della primavera e della fertilità: si trova solitamente rappresentata con ricche vesti e il capo ornati di fiori. La donna ritratta in questo dipinto viene identificata con la prima moglie del pittore, Saskia, in attesa del loro primo figlio, anche se, per la somiglianza con l'Artemisia del 1634, potrebbe trattarsi della modella che posava per Rembrandt in questi anni. L'impostazione della figura richiama quella della Flora di Tiziano, che in quegli anni si trovava ad Amsterdam. Dalle radiografie eseguite sul dipinto è emerso che in origine il soggetto rappresentava una “Giuditta con la testa di Oloferne”.
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